The go master
Dal lontano "Oriente" arriva questa pellicola biografica diretta dal regista Tian Zhuangzhuang, apprezzato autore di pellicole drammatiche. In "The Go master"il regista cinese decide di raccontare, con toni asciutti ma accorati, la vita di Wu Qingyuan, l'uomo che ha diffuso la cultura del gioco del Go in tutto il Giappone fino a istituirne una setta a lei legata e seguita ancora oggi da milioni di fedeli.

Il Go, spiegato brevemente, è una sorta di scacchi con valenze filosofiche: la tavola del gioco è composta da una griglia quadrata suddivisa da una ragnatela di linee orizzontali e verticali; si affrontano due giocatori, il primo detiene le pedine nere, il secondo quelle bianche; lo scopo del gioco è riuscire a conquistare più spazio, con le proprie pedine, sulla tavola di gioco. Nel Go l'obiettivo finale non è l'annientamento dell'avversario quindi, ma la conquista dello spazio, inteso sia come territorio da occupare fisicamente, sia come imposizione della propria mente su quella dell'avversario. Proprio questa doppia valenza simbolica fa avvicinare il gioco alla filosofia orientale e alle idee di mente e corpo ad essa legata.

Lunga divagazione sulle regole del gioco su cui il film è incentrato "dovuta", poiché il film di Tian Zhuanzhuang non lo fa, limitandosi a raccontare, con attento piglio storico, la storia del conflitto Cina- Giappone tra il 1940 e 1950 unita alla vita del giovane Wu. La più grande critica che si può rivolgere a "The Go master" infatti è proprio quella di rivolgersi ad un numero troppo ristretto di persone. Senza esagerare ci sentiamo di affermare che solo chi conosce il gioco del Go, seppur a grosse linee, e l'ambito storico in cui questo si è diffuso, può apprezzare appieno una pellicola che, oltretutto, non si discosta troppo dalla mera cronaca. Non bastano nemmeno gli inserimenti didascalici degli scritti del maestro Wu Qingyuan a dare un'idea più chiara e "sentita" della storia. Ed è un peccato. Un peccato perché le valenze simboliche presenti nel film sono proprio tante: dal parallelismo tra Cina e Giappone contrapposto alla visione di bene e male presenti nella cultura del Go, fino ad arrivare al concetto di esistenza stessa, messa a dura prova dai continui tentativi di suicidio del giovane. A questi aspetti significativi il film affianca, inoltre, una fotografia che regala alla pellicola delle connotazioni "mistiche": scene come l'attraversamento in mare di Wu con l'oceano che semplicemente invade tutto lo schermo, o i lunghi silenzi, tipicamente orientali, compagni di attese ancora più lunghe. Una regia composta quindi, a tratti molto dettagliata, ma troppo costretta nel suo ruolo biografico. Storico.

Senza equivoci però: il film di Tian Zhuangzhuang è ben diretto e ben interpretato, accompagnato da una fotografia efficace e una storia comunque affascinante, ma ineluttabilmente sfugge allo spettatore comune... come una pedina dal proprio avversario.

La frase: "...Il Go non conosce nazioni...".

Diego Altobelli

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