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The Air I Breathe
Scontento banchiere, Forest Whitaker ("L’ultimo re di Scozia") prende un importante prestito e perde tutto nel gioco d’azzardo con il boss malavitoso Andy Garcia ("Il padrino parte 3"), per il quale lavora anche Brendan Fraser ("La mummia"), capace di vedere il futuro ed improvvisamente ritrovatosi tra le braccia della bellissima cantante Sarah Michelle Gellar ("The grudge"), che diventerà non poco importante per il medico Kevin Bacon ("L’uomo senza ombra"), innamorato della moglie del suo migliore amico, una Julie Delpy ("Prima dell’alba") in fin di vita.
Su questo intreccio Jieho Lee costruisce il suo primo lungometraggio, ispirato ad un proverbio asiatico che analizza la vita attraverso le quattro chiavi emozionali della felicità, il piacere, il dolore e l’amore, protagoniste di altrettanti episodi che finiscono in un modo o nell’altro per incrociare le loro strade.
Quattro chiavi emozionali rispettivamente incarnate da Forest Whitaker, Brendan Fraser, Sarah Michelle Gellar e Kevin Bacon, che nella versione originale del film portano proprio i nomi di Happiness, Pleasure, Sorrow e Love e che ruotano tutte attorno alla figura di Garcia, soprannominato "Dita" a causa di una sua violenta abitudine.
Ed è facendo ricorso alle atmosfere cupe della fotografia di Walt Lloyd ("America oggi") ed al frenetico montaggio di Robert Hoffman ("Babbo bastardo") che il regista comincia a portare in scena questi quattro elementi i cui destini sembrano essere inevitabilmente legati ad ogni loro piccolo gesto, per poi introdurre anche un pizzico d’ironia, soprattutto nel momento in cui tira in ballo un delinquentello con le fattezze dell’ottimo Emile Hirsch ("Into the wild-Nelle terre selvagge").
Purtroppo, però, il coinvolgente ritmo iniziale sembra perdere colpi man mano che i fotogrammi avanzano, soprattutto a partire dall’entrata in scena della triste vicenda della pur brava Gellar, fino ad un epilogo traboccante buoni sentimenti che, al di là di qualche piacevole sorpresa di script, sembra ridurre il tutto ad un derivato del pluripremiato "Crash-Contatto fisico" di Paul Haggis.
Quindi, un esordio registico guardabile, ma che non lascia nessun segno.
La frase: "Qualche volta le cose che tu non puoi cambiare finiscono per cambiare te".
Francesco Lomuscio
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