Taken: La vendetta
Il pericolo poteva essere il suo mestiere eppure nella sua ultima avventura la sessantenne star Liam Neeson, action man in giacca di pelle e gadget old school, sembra troppo composta perfino mentre sferra pugni e calci e nel portare avanti la sua personale missione a Istanbul viene da pensare che probabilmente avrebbe espressioni simili anche se fosse dietro una scrivania. Meno energico del primo film, "Taken - La vendetta" prova a concentrarsi sui dettagli, per distrarci dalle sabbie im-mobili della sceneggiatura: il villain di turno è Murad Krasniqi (Rade Serbedzija), il padre del cattivo che il nostro sfigato eroe, Bryan Mills, aveva malauguratamente ucciso a Parigi due anni prima nel prequel. L’uomo vuole vendicare la morte del figlio e raggiunge Bryan in Turchia, dove si trova con l’ex moglie Lenore (Famke Janssen) e la figlia 17enne Kim (Maggie Grace in realtà a un passo dai 30 anni!), per catturare l’intera famiglia e farne una carneficina. Intenzionato a farsi giustizia con le proprie mani, l’uomo raggruppa un manipolo di connazionali e tortura, o almeno ci prova, i suoi ostaggi.
Le sequenze di azione e tensione non emergono dalle risate che più di una battuta del freddo Mills rubano agli spettatori: l’audacia ironica dell’autore dei diversi "Karate Kid", Robert Mark Kamen, che qui viene in aiuto dell’amico e collega Besson, finisce per cadere nell’equivoco di un umorismo volontario. Perfino mentre il protagonista dà indicazioni di guida alla figlia che, non ancora patentata, deve condurre la vettura all’ambasciata americana in territorio straniero mentre sono alle calcagna gli albanesi e la polizia turca armati e mal intenzionati, le sue parole faticano a comunicare l’apprensione di un padre che potrebbe perdere tutto. Anche il ritmo e l’intensità narrativa non sono paragonabili ai patinati franchise del genere come 007, che non sbaglia un anniversario, o la rinnovata saga di Bourne: la storia, schematica e dai dialoghi più divertenti che pungenti, si riduce a quella di un ex agente della CIA che deve salvare per la seconda volta la famiglia dalle grinfie di una banda di criminali, albanesi giusto per assicurare un tocco retro ed esotico (già perseguito dalle suggestive location), e sfida tempo e nemici, assetati di vendetta, tra corse metropolitane accelerate solo dal montaggio frenetico e qualche lancio maldestro di granate sui tetti affidate però alla figlia minorenne, costretta ad armeggiare con bombe e lacci di scarpe, come nella sequenza più divertente e improbabile del film.
Dopo il discreto successo riportato negli States, torna in sala la produzione firmata Besson: il sequel del low budget "Taken" sembra essere stato però scritto e realizzato per sentire nuovamente suonare i botteghini. Pierre Morel è stato sostituito alla regia dal discreto Olivier Megaton ("Transporter 3") che ha in comune col primo una lunga collaborazione con Luc Besson, ma quello che fa di questa produzione francese, che emula quelle hollywoodiane, un’opera trita è la mancanza di creatività nello script: mai un colpo di scena arriva a scuotere il pubblico, il quale, almeno, non dovrà preoccuparsi neanche un minuto di tenere alta l’attenzione: la storia, debole e comica, rotola fino in fondo come un ennesimo déjà vu.
La frase:
"Quando un cane ha un osso l'ultima cosa da fare è portarglielo via".
a cura di Angela Cinicolo
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