Spy Game

Con la caduta del muro ed il nuovo assetto geopolitico sia la letteratura che il cinema hanno perso una delle loro più grandi fonti di ispirazione: lo spionaggio. Ormai i nuovi lavori incentrati su questo tema sono tutti all'insegna della spettacolarità, della tecnologia e dei corpi speciali invincibili, ma essenzialmente hanno perso quel tocco umanizzante che li rendeva così affascinanti. Lo scontro di menti geniali, il faccia a faccia costituito essenzialmente di trucchi, finte, inganni e doppio gioco.
Qualcosa si era riassaporato con "Ronin", ma finalmente "Spy Game" è in grado di restituirci quel gusto perduto.

Ovviamente ci troviamo all'inizio degli anni novanta, quando Tom Bishop (Brad Pitt / "Ocean's Eleven") viene catturato in Cina durante un'operazione sotto copertura per la CIA. La situazione particolarmente delicata, alla vigilia di un meeting commerciale con il Governo cinese, induce i vertici dell'Agenzia a valutare l'opzione di abbandonare Bishop al suo destino. L'opzione, però, va avallata da Nathan Muir (Robert Redford / "L'Uomo che Sussurrava ai Cavalli") il suo ex-comandante.
Muir è ormai disincantato dal suo lavoro, alle soglie della pensione e questa "grana" non è certo il regalo d'addio che si aspettava.

Tony Scott ("Nemico Pubblico") dirige al meglio la pellicola nonostante sia un regista spesso associato a film d'azione, ma il fratello del più rinomato Ridley è ormai decisamente cresciuto. I numerosi flashback, che ripercorrono la carriera di Bishop, brillano per l'ottima scelta di "filtrarli" attraverso luci diverse che ne sottolineino al meglio il periodo storico. Il Vietnam del '75 è così dominato da toni gialli, quasi da documentario d'epoca, mentre i primi anni ottanta di berlino sono virati su un blu freddo ed impersonale. La Beirut dell'ottantacinque invece è ripresa con colori caldi ed uno stile da reportage della CNN. In tutte queste occasioni, sapientemente gestite, la cinepresa di Scott ruota intorno ai personaggi o corre parallelamente a loro, a volte in modo febbrile e convulso, a sottolinearne la tensione e lo stato d'animo, in palese contrasto con l'atmosfera degli uffici dell'Agenzia dove tutte sembra asettico e soltanto un orologio scandisce il tempo che trascorre verso il drammatico finale.

La presenza di Robert Redford è ormai quasi sinonimo di una garanzia sulla qualità del lavoro, infatti lo sceneggiatore ha mostrato una particolare cura sia nei dialoghi sia nel tessere una trama di intrighi dove ognuno sembra giocare la sua partita personale cercando di sfruttare al meglio appoggi e traballanti alleanze. Una piacevole notizia è stata scoprire un Pitt finalmente convincente e non il classico attore di gesso di molti suoi precedenti lavori. Redford, benché palesemente invecchiato dai tempi del "Condor", è sempre avvolto dalla sua aura di indiscusso carisma.

La frase: "Bisogna fare gioco di squadra."
"Quando il mio allenatore diceva così finivo in panchina!"

Curiosità: Il personaggio di Brad Pitt si chiama Tom Bishop, ne "I Signori della Truffa" anche Robert Redford si chiamava Bishop.

Indicazioni:
Per tutti quelli che hanno nostalgia delle spy-stories più cervello che azione.

Valerio Salvi

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