Venerdì 13

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Venerdì 13

Sotto la maschera da hockey: tutti gli squartamenti di "Venerdì 13"

Dopo aver dato nuova linfa vitale alla serie "Non aprite quella porta" attraverso l'omonimo remake del 2003, Marcus Nispel riporta sullo schermo Jason Voorhees, l'immortale serial killer mascherato protagonista del suo "Venerdì 13", in uscita il 13 febbraio 2009.
Ma quando hanno avuto inizio i massacri di Crystal Lake?

Venerdì 13 (Friday 13th, USA 1980)
Riaperto dopo vent' anni di inattività dovuti a un sanguinoso duplice delitto avvenuto nel 1958 che gli ha fatto guadagnare la fama di posto maledetto, il Camp Crystal Lake diventa il teatro del nuovo massacro ad opera del misterioso assassino ancora a piede libero che, sgozzata una povera autostoppista, prende di mira un gruppo di giovani in vacanza. Diretto da Sean S. Cunningham, compagno delle prime avventure cinematografiche di Wes Craven, per il quale produsse "L'ultima a casa a sinistra" (1972) e co-diresse il soft-porno "Together" (1971), è il capostipite di una delle più lunghe serie horror della storia della celluloide.
Senza dubbio la pellicola che, nonostante illustri predecessori ("Black Christmas-Un Natale rosso sangue", "Halloween-La notte delle streghe") e altri meno noti ("Savage week-end", "Lo squartatore di Los Angeles"), ha definito una volta per tutte regole e codici alla base del sottofilone denominato slasher, il quale prevede omicidi a ripetizione ai danni di un gruppo di persone in uno spazio più o meno chiuso.
Il tutto, attraverso un rozzo script costituito quasi per intero dalla sequela di fantasiosi omicidi all'arma bianca immersi in un'ambientazione boschiva fortemente debitrice nei confronti di "Reazione a catena-Ecologia del delitto" (1972) del nostro Mario Bava, con efficace uso del ralenti, presenza ossessiva della pioggia e riusciti momenti splatter realizzati dal mai disprezzabile Tom"Zombi"Savini (memorabile la sanguinosa uccisione con freccia di un giovanissimo e non ancora famoso Kevin Bacon). Senza contare le fondamentali musiche di Harry Manfredini, comprendenti il geniale tema Ki-Ki-Ma-Ma, distorsione della frase "Kill her mommy" (traduzione: "Uccidila mamma"), pronunciata a fine film dall'omicida e che ha finito per accompagnare tutti i sequel. E' proprio il caso di dire che mai un titolo così sfigato ha portato tanta fortuna!

L'assassino ti siede accanto (Friday 13th part 2, USA 1981)
Unica sopravvissuta al massacro di Crystal Lake, Alice viene trucidata da Jason Voorhees, risorto dalle acque e che, intento a vendicare la madre, passa all'eliminazione di un vecchio del posto, di un poliziotto e di un nuovo gruppo di giovani villeggianti in vena di spensieratezza.
Esordio alla regia per Steve Miner, produttore associato di "Venerdì 13" e futuro autore, tra l'altro, di "Chi è sepolto in quella casa" (1985) e "Halloween-20 anni dopo" (1998), è il capitolo in cui entra in azione il possente e immortale serial killer simbolo della serie, qui incappucciato alla "The elephant man" (1980) e che presenta subito le fattezze di discendente cinematografico di Michael Myers (tanto per rimanere in ambito halloweeniano), con un pizzico d' iconografia zombesca in più.
Un essere metaforico e dal nome biblico che, a mo' di angelo sterminatore, cancella violentemente dalla faccia della Terra i giovani rei di commettere atti impuri come fumare l'erba o fare sesso (memorabile qui l'uccisione della coppia infilzata con lancia al momento dell'orgasmo, spudoratamente copiata dal già citato "Reazione a catena-Ecologia del delitto"), mentre, emulando il Norman Bates di "Psycho" (1960), conserva anche la testa mummificata della madre defunta.
Di sicuro il miglior capitolo della serie, meno splatter del capostipite (si è parlato però di pesanti interventi censori) ma capace di precisare definitivamente i meccanismi che hanno poi reso storici i "Venerdì 13"; dai quali, tra l'altro, è nato anche l'omonimo telefilm, del tutto estraneo alle vicende di Jason e in parte editato in Italia in quattro vhs con il titolo "Venerdì maledetto".

Week-end di terrore (Friday the 13th part 3, USA 1982)
Sopravvissuto a un colpo di machete, Jason Voorhees è ancora impegnato nella macellazione di tre teppisti e di un nuovo gruppo di vacanzieri, tra cui una ragazza sfuggitagli in precedenza. Nuovamente diretto da Miner ma sceneggiato da Martin Kitrosser, futuro script supervisor di Quentin Tarantino, questo terzo episodio racchiude tutta la sua importanza nel fatto che è quello in cui Jason indossa per la prima volta la maschera da hockey, divenuta poi il suo marchio di riconoscimento, altrimenti le fattezze non sono altro che quelle di un remake del precedente, soltanto più violento (un occhio che schizza fuori dall'orbita nel calderone).
Ma, se il privilegio nei confronti del numero dei morti rispetto alla storia è l' elemento che spesso ha spinto i critici a giudicare male ogni singolo capitolo della saga, è allo stesso tempo quello che lo spettatore si aspetta da uno slasher, in cerca di un effetto prima shockante, poi liberatorio, dovuto con ogni probabilità freudiana alla grande carica di sessualità latente presente nelle uccisioni (accoltellamento=penetrazione).
Quindi, questo "Week-end di terrore", originariamente realizzato in 3-D, non fatica a risultare godibilissimo e in linea con i canoni jasoniani, perché al fan poco importa se le sceneggiature non sono approfondite in ogni minimo dettaglio e se i personaggi non presentano sufficiente spessore psicologico, l'importante è vederli perire sotto i colpi dell'imponente assassino mascherato, in maniera diversa l'uno dall'altro.

Venerdì 13-Capitolo finale (Friday the 13yh-The final chapter, USA 1984)
Ucciso con un' accettata in pieno cranio, Jason Voorhees viene trasportato all' obitorio locale per poi risvegliarsi e trucidare due infermieri; ovviamente, non tarda a fare ritorno a Crystal Lake dove, attuata l'ennesima carneficina, finisce per scontrarsi con Tommy Jarvis, ragazzino intelligente amante dei film dell' orrore.
Ed è il Corey Feldman poi interprete de "I Goonies" (1985) e "Stand by me-Ricordo di un'estate" (1986) a concedere anima e corpo a quest'ultimo in quello che, concepito quale episodio conclusivo della serie a causa dell'insuccesso del precedente, finì per trionfare al botteghino tanto da spingere i produttori a riportare più volte in vita l'assassino di Crystal Lake. Il plot, come al solito, non aggiunge niente di nuovo, ma il regista Joseph Joe Zito, che in fatto di slasher aveva già diretto il riuscito "Rosemary's killer" (1981), oltre a sfoggiare una certa conoscenza dei meccanismi del genere dimostra di trovarsi a proprio agio con la violenza su celluloide, supportato anche dal ritorno di Tom Savini agli effetti speciali, qui artefice di alcuni dei più impressionanti omicidi dell'intera saga (Crispin Glover, impegnato l'anno dopo nei panni del George McFly di "Ritorno al futuro", si ritrova un cavatappi conficcato nella mano).





Venerdì 13: Il terrore continua (Friday the 13th part 5-A new beginning, USA 1985)
Ricoverato in un istituto di cure mentali nei pressi di Crystal Lake in seguito all' uccisione di Jason, il cresciuto Tommy Jarvis, perseguitato negli incubi dal massacratore mascherato, assiste a un incidente in cui perde la vita un giovane paziente. Incidente dopo cui ha inizio una spaventosa catena di omicidi che sembra portare proprio la firma del famigerato serial killer defunto.
A causa della mancanza del vero Jason, o forse perché l'identità dell'assassino è facilmente intuibile, non pochi hanno definito questo quinto "Venerdì 13" come il peggiore della serie. Eppure, a partire dall'affascinante incipit onirico in cui Corey Feldman, soltanto per pochi minuti nei panni di Tommy, assiste sotto la pioggia alla profanazione della tomba dell'omicida, quella che si respira è un'efficace atmosfera da vecchio film dell'orrore, enfatizzata anche dalle onnipresenti musiche di Harry Manfredini e dalla curata fotografia di Steve Posey. Mentre il regista Danny Steinmann, in precedenza autore del film per adulti "High rise" (1973) e dei due thriller "The unseen" (1981) e "Savage streets" (1984), orchestra con discreta professionalità le diciassette cruente sequenze di omicidio (senza contare i primi due cadaveri del sogno e il paziente che muore a inizio vicenda), infarcite d'indispensabile dose di tette al vento.

Venerdì 13 parte 6: Jason vive (Friday the 13th part 6-Jason lives, USA 1986)
Ancora ossessionato da incubi che vedono protagonista Jason Voorhees, Tommy Jarvis si reca insieme a un amico nel cimitero locale per verificare che il massacratore sia effettivamente morto e sepolto, ma la scarica elettrica di un fulmine finisce per risvegliarlo e, reindossata la maschera da hockey, torna alle vecchie sanguinolente abitudini.
E' il Thom Mathews de "Il ritorno dei morti viventi" (1985) a vestire i panni di un sempre più deciso Tommy in questo sesto geniale episodio, che conferma una volta per tutte Jason Voorhees quale Frankenstein di un moderno cinema horror che riconosce il suo Dracula nel Freddy Krueger della contemporanea serie "Nightmare".
Con buoni effetti speciali di trucco per mano di Martin Becker, il regista Tom McLoughlin, qui alla seconda regia dopo il poco noto zombie-movie "One dark night" (1983), confeziona quello che rimane in assoluto uno dei più riusciti tasselli della serie, infarcito con un'insolita e tutt'altro che disprezzabile dose d'ironia presente già a partire dai titoli di testa, durante i quali l'omicida emula 007 lanciando il machete verso la macchina da presa.
In Italia, come anche i successivi tre capitoli, non ebbe distribuzione cinematografica, ma arrivò direttamente in home video.

Venerdì 13 parte 7-Il sangue scorre di nuovo (Friday the 13th part 7-The new blood, USA 1988)
Dotata di poteri psicocinetici, la giovane Tina tenta di resuscitare il padre, annegato anni addietro per sua colpa nel Crystal Lake, ma libera involontariamente Jason Voorhees, incatenato nelle profondità del lago e pronto a tornare in azione.
"Jason vs Carrie" si sarebbe potuto intitolare questo settimo capitolo, se teniamo in considerazione il fatto che la protagonista possiede gli stessi poteri della fanciulla di kinghiana memoria.
E l'idea di far rivivere il mostro tramite le facoltà psicocinetiche di Tina, interpretata dalla Lar Park Lincoln de "La casa di Helen" (1987), risulta tutt'altro che disprezzabile, primo indizio d'indirizzamento della serie verso la fantascienza, come testimonieranno le parti 9 e 10.
Poi, il mago degli effetti speciali a basso costo John Carl Buechler, già regista di "Troll" (1986) e tra gli autori del collettivo "Il demone delle galassie infernali" (1985), dietro la macchina da presa non sembra cavarsela affatto male, regalandoci inoltre il miglior Jason di sempre, caratterizzato da uno splendido make-up con indumenti a brandelli che lasciano vedere tranquillamente le ossa ormai scoperte.
Quindi, se siete veri fan del venerdì e dello slasher in generale non vi dispiacerà affatto assistere a trombette di plastica conficcate negli occhi, crani frantumati a mani nude ed accettate in pieno volto ai danni, tra l'altro, del Terry Kiser in seguito interprete della commedia "Weekend con il morto" (1989) e del Bill Butler destinato a perire in più di un horror dei primi anni Novanta, dal terzo "Non aprite quella porta" al remake de "La notte dei morti viventi" firmato da Tom Savini.

Venerdì 13 parte 8-Incubo a Manhattan (Friday the 13th part 8-Jason takes Manhattan, USA 1989)
Salito clandestinamente a bordo di una nave diretta a New York, il resuscitato Jason Voorhees attua una vera e propria carneficina di teen-ager e contribuisce all'affondamento dell'imbarcazione, per poi inseguire i pochi sopravvissuti nelle strade della Grande Mela.
Nel tentativo di dare nuova linfa vitale alla saga, i produttori decisero d'imbarcare Jason per New York in quello che da sempre viene giudicato come uno dei peggiori "Venerdì 13", la cui regia è firmata al televisivo Robert Hedden (suoi diversi episodi del telefilm "Friday the 13th").
Di conseguenza, al di là del cambio di ambientazione, abbiamo una lunga sequela di omicidi privi di inventiva e di liquido rosso inscenati attraverso una piatta regia da piccolo schermo, complici anche una fotografia degna di una soap e una pessima sceneggiatura non priva di incongruenze narrative (la giovane protagonista racconta di essere stata assalita dal piccolo Jason nelle acque del Crystal Lake quando era bambina: episodio matematicamente impossibile).
Possiamo salvare la riuscita frazione ambientata nella Grande Mela, nel corso della quale la brutalità del serial killer immortale finisce per risultare molto peggio della violenza metropolitana; ma il tutto culmina poi in un assurdo epilogo in aria di metafora intellettuale che poco ha a che vedere con operazioni del genere, basate unicamente sulla continuità e destinate a un pubblico annoiato in cerca della facile emozione.

Jason va all'inferno (Jason goes to hell-The final friday, USA 1993)
Disintegrato dalle forze speciali dell'F.B.I., Jason si mostra questa volta capace di trasferirsi di corpo in corpo alla ricerca di un Voorhees attraverso cui rinascere, mentre il cacciatore di taglie Creighton Duke, unico a conoscenza del metodo per fermarlo definitivamente, si mette sulle sue tracce.
Chiaro che, non sapendo più come proseguire dal termine dell'ottava puntata, i produttori abbiano deciso di sbattersi altamente della continuità ripartendo direttamente da Crystal Lake, con un Jason Voorhees integro e feroce (anche se solo per pochi minuti).
Peccato che, nonostante l'inizio ci riporti alle atmosfere del capostipite (non a caso il produttore del film è Sean Cunningham, che lo aveva diretto), si decida poi di mettere in scena un assurdo Voorhees crostaceo preso ad emulare "L'alieno" (1987) di Jack Sholder, mentre la popolazione locale sembra aver fatto della sua figura un business, tanto che al diner vengono serviti hamburger che lo raffigurano e prelibatezze chiamate "Dita di Jason".
Quindi, sebbene l' esordiente Adam Marcus confezioni il tutto con buona tecnica, il fan della serie non può fare a meno di considerare blasfema l'idea di privare l'immortale serial killer della sua imponente fisicità, immerso inoltre in un ironico clima che, accettabile finché si limita a citare il Necronomicon de "La casa" (1981) o a scimmiottare il massacro alla stazione di polizia di "Terminator" (1984), finisce spesso per sfociare in fastidiosa comicità demenziale (si pensi al dottore-Jason che, immobilizzato un uomo, gli rade il viso con tanto di schiuma da barba prima di occuparne il corpo).

JX-Morte violenta (Jason X, USA, 2001)
Ibernato insieme a una giovane ricercatrice ferita a morte all' interno di una camera criogenica, Jason Voorhees si risveglia quattrocentoquarantuno anni dopo, quando l'equipaggio di un cargo interstellare proveniente da una Terra gemella ne ritrova il corpo.
Già regista del non disprezzabile "La casa 7" (1989) e autore degli effetti speciali visivi di diversi lavori di David Cronenberg, che qui compare brevemente per finire infilzato da Jason, è James Isaac a dirigere questo decimo "Venerdì 13" in salsa "Alien", distribuito nei nostri cinema, in realtà, soltanto dopo il grande consenso di pubblico ottenuto dal successivo "Freddy vs Jason".
E bisogna dire che l'idea di partenza non era affatto male, ma, al di là di geniali trovate come la sequenza in cui un nuovo Jason corazzato e scintillante intraprende uno scontro alla "Matrix" con una sexy androide o quella in cui viene attirato in uno spazio virtuale che ricostruisce la Crystal Lake d'inizio secolo, il plot si riduce a una piatta sequela di omicidi quasi privi di splatter - ad eccezione della ragazza cui viene frantumato il volto criogenizzato tramite l'azoto liquido - ai danni di un equipaggio di giovinastri degni del telefilm "Beverly Hills 90210".
Quindi, anche se non tutto è da buttar via, annoia non poco il continuo vagare per i corridoi dell'astronave.

Freddy vs Jason (Idem, USA, 2003)
Annunciato al termine di "Jason va all'inferno", si è concretizzato soltanto dopo dieci anni il cross over più atteso del cinema horror.
Inibiti i sogni grazie a particolari medicinali, gli abitanti di Springwood hanno una volta per tutte reso impotente l'artigliato Signore degli incubi Freddy Krueger, il quale, ormai imprigionato all'inferno, per riacquisire i suoi poteri dovrebbe compiere nuovi omicidi. Non esita quindi a resuscitare l'invulnerabile squarta-adolescenti di Crystal Lake Jason Voorhees per spedirlo a seminare cadaveri a Springwood, fino al momento in cui, deciso a tenere tutte per sé le future vittime, gli si scaglia contro per un match all'ultimo taglio.
Match che arriva in realtà soltanto in seguito ad una prima parte basata sui sanguinolenti omicidi, ricordando più la saga kruegeriana che quella iniziata da Sean S. Cunningham (qui tra i produttori); mentre il regista hongkongese Ronny Yu, già al servizio del riuscito "La sposa di Chucky-Il ritorno della bambola assassina" (1998), sembra riallacciarsi alla vecchia corrente cinematografica legata a pellicole come "Frankenstein contro l'uomo lupo" (1943) per rendere possibile l'assurdo duello tra l'incontrastato dominatore della dimensione onirica nightmariana e la più concreta figura del trucida-campeggiatori di "Venerdì 13".
Tra ironia e sequenze affascinanti (il momento in cui la protagonista assiste all'annegamento del piccolo Jason), quindi, il divertimento non manca e l'insieme ben s'innesta nella più o meno mantenuta continuità delle due serie, lasciando individuare tra le immagini perfino possibili metafore relative alla instabile situazione post-11 settembre tra Stati Uniti e Oriente.

Francesco Lomuscio

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