01 Luglio 2006 - Conferenza Stampa
"Le colline hanno gli occhi"
Intervista al regista.
di Paolo Zelati


Sei un fan del cinema dell'orrore e cosa pensi dell'horror contemporaneo?
Alexandre Aja: Sono un grande appassionato di horror e sono cresciuto recuperando in videoteca i classici americani degli anni 70 come Carpenter, Hooper e Craven: durante gli anni 90 il genere non ha regalato grandi soddisfazioni. Oggi c'è la moda dei remake e i risultati sono molto variabili, infatti se L'alba dei morti viventi è un film intelligente, Non aprite quella porta è invece decisamente deludente. Un film che trovo straordinario è The Descent di Neil Marshall, veramente spaventoso!

"Le colline hanno gli occhi" è uno dei pochi remake contemporanei ad attualizzare il sottotesto politico del film originale in modo diretto e intelligente. Mi parli del tuo lavoro in proposito?
Alexandre Aja: Wes Craven è rimasto colpito da Alta Tensione e ha convocato me e Greg Levasseur per parlarci di un probabile remake di Le colline hanno gli occhi. Però Wes lo avrebbe fatto solo in virtù di un'idea veramente nuova che avrebbe potuto giustificarne una versione moderna. Così io e Greg abbiamo pensato al macrotema degli esperimenti nucleari compiuti dall'Esercito Usa nel deserto del New Mexico negli anni 50. Partendo da quest'idea forte abbiamo cominciato a scrivere la sceneggiatura e il cotè politico del film si è palesato quasi naturalmente; dall'uso chiaramente metaforico della bandiera americana fino al messaggio generale che sottende tutta la storia: l'America ha creato i propri mostri ed ora ne paga le conseguenze.

Come hai lavorato con gli attori rispetto all'attuazione di questo sottotesto politico?
Alexandre Aja: Abbiamo avuto delle lunghe conversazioni con Ted Levine e Aron Stanford circa il dualismo Democratici / Repubblicani, soprattutto rispetto al finale: si può dire che il personaggio di Doug si trasforma in un repubblicano? Secondo me no, perché si tratta solo di un uomo che è costretto a dimenticare ogni traccia di civilizzazione per diventare come i suoi nemici e sopravvivere. Poi abbiamo discusso circa l'indubbia somiglianza tra il deserto del film e quello iraqueno, però credo che l'unica metafora chiara sia quella dell'America che ha creato i suoi mostri, e in questo senso si tratta di un'allegoria della società americana contemporanea. Oggi, negli USA, chiunque non perde occasione per sventolare la bandiera; c'è in atto una sorta di estremizzazione dei sentimenti, anche parlando di religione. Per un regista tutto ciò è molto interessante e può essere sviluppato metaforicamente in film come il mio.

Cosa hai chiesto di preciso ai tecnici della KNB per la realizzazione dei mostri?
Alexandre Aja: Ho lavorato molto insieme a Greg Nicotero e gli ho portato una grossa documentazione circa gli effetti delle radiazione sui bambini giapponesi, sugli abitanti di Chernobyl e sulle mutazioni causate dall'Agente Arancione usato in Vietnam. Abbiamo passato in rassegna migliaia di fotografie terribili e quasi inguardabili basando il nostro lavoro sulle vere mutazioni: Big Brain lo abbiamo "copiato" da una fotografia usata da Greenpeace in una Campagna duranti gli anni 80. Per me la cosa più importante era caratterizzare gli abitanti delle colline nel modo più realistico possibile, perché se non ci credi non ti fanno paura!

Infatti, diversamente dai cattivi del film di Craven, i tuoi mostri fanno davvero paura…
Alexandre Aja: Lo penso anch'io. Non ho voluto creare un'immagine speculare della "famiglia americana", ma bensì seguire il punto di vista di questa famiglia chiamata ad affrontare qualcosa di oscuro e terrificante!

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