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22 marzo 2001 - Conferenza stampa
Pupi Avati
Intervista con il regista de "I cavalieri che fecero l'impresa"
di Valeria Chiari
Un film d'avventura allora, con la A maiuscola?
Si, con l'aiuto di Franco Caldini, per garantire una verosimiglianza storica a gran parte della vicenda, ho cercato di fare un film avventuroso, evitando tutti gli approfondimenti psicologici dei personaggi, che si deducono così solo dai comportamenti, riducendo i dialoghi all'essenziale. Attraverso l'intrecciarsi di eventi che conducono questi cinque ragazzi privi di prospettive, frustrati da un presente che non garantisce loro nulla di eccezionale, ad una opportunità attraverso la quale riempiono la loro vita, acquisendo così un senso che precedentemente non aveva, ho cercato di raccontare una storia che avesse diversi livelli di decodificazione.
Una storia che potesse essere seguita da un pubblico anche ignaro di quello che è il Medioevo, dei Templari, del mondo cavalleresco delle saghe di Chrétien de Troyes, quelle del Sacro Graal o le storie sulla Sindone, fruendone solo come film d'avventura. Allo stesso tempo a seconda della sensibilità e del livello culturale, questo film si presta anche a delle attenzioni maggiori suggerisce una ipotesi verosimile riguardo al buco nero della sparizione della Sacra Sindone, 150 anni, durante i quali la reliquia scompare da Costantinopoli nel 1204 e riappare misteriosamente nello Champagne nel 1356: un lavoro che potrebbe piacere a chi è informato, stimolandolo ad andare avanti nella ricerca d'una spiegazione.
C'è molta efferatezza in alcune scene, era necessaria?
Tutto quello che ho messo nel film è assolutamente vero storicamente. Il Medioevo è uno dei periodi più attentamente analizzati: gli storici francesi soprattutto hanno fatto uno studio straordinario sugli usi e costumi quotidiani del periodo. Gli orrori che mostro nel film sono orrori che si vivevano quotidianamente all'epoca. C'era un efferatezza e una truculenta estrema e già con Magnificat ne avevo dato numerosi esempi: certamente potevo ridurla, come d'altronde ho fatto, ma non eliminarla, a meno di rischiare di perdere il senso e soprattutto la contestualizzazione dell'intera vicenda. E' stato un periodo indubbiamente violento ma che è riuscito a produrre ugualmente momenti di altissima poesia e arte: il Dolce Stil Novo, Dante...
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