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12 Ottobre 2005 - Conferenza stampa
"Paradise Now"
Intervista al regista Hany Abu-Assad.
di Pietro Salvatori
Hany Abu-Assad è a Roma per presentare il suo nuovo film, che ha ricevuto ovazioni e tributi all'ultimo festival di Berlino. Poche le domande a cui risponde, ma in tutte mette una passione e un impeto comunicativo ammirabili. Lo accompagna Mike Corradi, responsabile del settore medio-orientale per Amnesty International, associazione che ha patrocinato il film, che introduce il film.
Mike Corradi: Abbiamo deciso di patrocinare il film perchè è un vivo esempio di come sia importante la sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul grave problema dei diritti umani. Il connubio con il cinema è importantissimo, perchè il cinema ha la capacità di mostrarci casi particolari di una situazione che noi conosciamo a grandi linee dai giornali e dalle tv, ma penetra questi fatti, e ci mostrano la vita quotidiana.
In che condizioni finanziare è stato prodotto il film? Un eventuale limite al budget ha influito in qualche modo sulla storia che voleva raccontare?
Hany Abu-Assad: Il film è stato prodotto da capitali europei, e il budget non è certamente elevatissimo. Abbiamo chiesto anche agli israeliani di investire nel film, ma hanno rifiutato. C'è anche un produttore israeliano, che ci è stato indispensabile soprattutto dal punto di vista logistico, e che ringrazio tantissimo, ma dal punto di vista finanziario non ci è arrivato nulla. La storia non è stata affatto condizionata dal budget. Volevo costruire una storia realistica, e quello ho fatto. Un thriller che avesse in se situazione, tempo e luogo reali.
Non si sarebbe potuto mostrare un pò più di coraggio nella denuncia della mafia palestinese dei kamikaze? Nell'ultimo anno, per esempio, sono morti molti più palestinesi per mano palestinese che non per mano ebrea.
Hany Abu-Assad: Io sono l'ultimo a dire che ora come ora in Palestina ci sia una situazione serena. Ma d'altra parte non c'è una situazione sana. Israele però non fa nulla per aiutare i palestinesi, nulla per aiutarci a crescere, progredire. Il popolo palestinese, in particolar modo nella striscia di Gaza, vive sotto occupazione. Ora nel mio film non mi sembra di parlare di questi aspetti in maniera politica, il mio è un film sul cinema, non sulla politica.
Dove ha trovato attori tanto bravi? Il film verrà distribuito in Palestina?
Hany Abu-Assad: Sono attori giovanissimi, che a mio avviso hanno affrontato molto bene personaggi complessi. Il film è già stato proiettato a Ramallah, e in questi giorni uscirà in tutte le principali città della Palestina. In Israele uscirà il 10 novembre.
Delle due visioni della lotta che lei riporta nel film, in quale si riconosce? Come è stato accolto il film dai movimenti che lottano per una liberazione della Palestina?
Hany Abu-Assad: C'è stato in effetti uno dei movimenti, lì in Palestina, che mi ha criticato molto. Gli altri, convinti che comunque il mio film parlasse del tentativo di liberazione della nostra terra, mi hanno lasciato fare liberamente. In generale c'è stata molta condiscendenza. La Palestina è una società plurale, io sono sicuramente fra coloro che sostengono che i kamikaze ci mettono allo stesso livello degli occupanti. La necessità, l'urgenza di raccontare questa storia è un modo per perpetrare la memoria, per assicurare la sopravvivenza a un popolo.
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