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16 gennaio 2004 - Conferenza stampa
Intervista a Kevin Costner
di Valeria Chiari
Alla sua terza opera come regista, Kevin Costner torna a parlare del west e dei cowboys che lo popolavano, raccontando una storia di amicizia, vendetta e di amore. Ambientato nello sconfinato paesaggio delle praterie, "Terra di confine" si avvale anche dell'interpretazione di uno dei grandi del cinema d'oltre oceano, Robert Duvall, che infila il cappello e rimonta in sella per interpretare Boss Speramann proprietario di una mandria e abile pistolero. Paladino delle giuste cause, Boss insieme all'amico e socio Charley (Costner), sarà costretto ad affrontare ancora una volta la violenza, scontrandosi con un gruppo di pistoleri che tengono in pugno una piccola cittadina di frontiera. Tra i protagonisti anche Annette Benning, la donna che conquisterà il cuore del solitario e malinconico Charley.
In questi ultimi anni Hollywood sembra piuttosto restia a produrre e a realizzare film western. Lei invece mostra di prediligere questo genere. Perché?
La maggior parte dei film americani di genere western prendono spunto e si sviluppano su dei cliché e il pubblico, che non è stupido, non vuole vedere solo un gruppo di attori con il cappello da cowboy. Vuole identificarsi con i personaggi e vivere un'avventura attraverso le loro passioni e le loro gesta più o meno eroiche. È quello che io stesso voglio vivere quando mi trovo seduto in un cinema. Quei personaggi ci mostrano come vorremmo o come dovremmo comportarci nelle difficoltà davanti alle quali la vita ci mette di fronte.
Decisamente anticonformista e controcorrente, in termini di economia produttiva però?
Si, tutta la mia carriera si è costruita in questo modo, controcorrente come dice lei. Non ho mai scelto in funzione della popolarità o del guadagno. È per questo che invece di fare "Balla coi lupi 2", o "Bodyguard 2" ho preferito rischiare con film come "Waterworld", e colgo l'occasione per sottolineare che quest'ultimo film non è stato affatto il flop di cui tutti i giornali hanno scritto, al contrario. Dei 200 milioni di dollari spesi il film ne ha incassati esattamente il doppio. La vera, grande scommessa è fare un film che potrebbe piacere al pubblico, rischiando che poi invece non piaccia. Resta il fatto che mi considero un narratore, il mio lavoro è raccontare storie e non diventare una celebre star.
Controcorrente anche rispetto al panorama politico attuale che non vede di buon occhio lo spirito bellico americano...
È vero. Ho girato questo film sapendo benissimo che avrei potuto andare incontro al malanimo sia degli stessi americani, sia degli europei che considerano l'America un paese di persone che si comportano ancora come dei cowboy. Ma alla fine credo sia un film più che mai appropriato, e non avrà successo per questo motivo.
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