01 Settembre 2007 - Intervista esclusiva
"L’ora di punta"
Intervista al regista.
di Federico Raponi
Alla Mostra del Cinema di Venezia presenterà il suo nuovo film, "L'Ora di punta". Con il regista Vincenzo Marra abbiamo realizzato quest'intervista.
I tuoi film hanno un forte impegno sociale, da "Tornando a casa" sulla migrazione, in quel caso al contrario, a "Vento di terra" sul futuro, sul destino di giovani dell'area periferica partenopea, fino a questo nuovo lavoro sull'arrivismo, sul mondo della finanza…
Vincenzo Marra: Ho sempre detto che questa è una parte di una mia trilogia, dove credo che un cineasta come me abbia l'obbligo di cercare di vedere a 360 gradi il paese in cui vive e che vuole raccontare, e quindi rivendico questa possibilità, quella di potermi muovere spaziando da mondi e da situazioni diverse. Questo lo dico perché poi magari in Italia si è abituati a quel tipo di regista che deve rifare sempre lo stesso film. Ecco, io esco da questa logica: per due film e un documentario ("Estranei alla massa", ndr) mi sono occupato più della classe operaia, come si poteva dire qualche tempo fa, oggi sarebbe una classe media che sta scomparendo. E poi, da "l'Udienza è aperta" a "l'Ora di punta" ho voluto passare un po' dall'altra parte, a quella che è la classe dirigente o comunque fa meno fatica ad arrivare a fine mese rispetto a quelli che avevo scelto come protagonisti delle mie storie precedenti. Quindi un passaggio per me doveroso, per uno che ha forse anche la presunzione di avere uno sguardo lucido. Sono molto contento di questo film, ogni tanto non ci credo neanche io di essere riuscito a farlo così, oggi, qui, e quindi questo mi dà la forza un po' di infischiarmene di eventuali critiche negative o attacchi. Per me è un problema con la mia coscienza: quello che volevo fare è venuto fuori come volevo, dopodichè siamo nell'ambito del gusto e del giudizio personale di ognuno, dove se dovessi stare ad ascoltare tutti quelli che hanno guardato un mio film forse non ne uscirei vivo. L'importante per me è essere onesto intellettualmente.
Per la prima volta nel cast un nome noto, quello di Fanny Ardant. E' qualcosa di episodico o una scelta stilistica?
Vincenzo Marra: Io lavoro d'istinto, in fantasia e in immagini. A un certo punto, mentre scrivevo il copione, mi è apparsa lei. E quindi ho scritto per la prima volta in vita mia pensando ad una attrice, ma completamente in modo distaccato da come forse uno era abituato a vederla su lavori di altri registi. Mi è venuta in mente, mi è venuta a cercare nei sogni della scrittura. Per me è una persona, perché poi se non mi fosse piaciuta anche come essere umano… Non mi interessa proprio fare un film con chi ritengo una testa di c… Ho scritto il copione, sono andato a Parigi, abbiamo avuto un bellissimo incontro, è nato un bellissimo feeling emotivo tra di noi, dopodichè è stato tutto più facile. Quindi in futuro se mi verrà in mente qualcun altro, cercherò di portarlo a fare il mio film, sempre che ne ritrovi un valore secondo il mio parametro di persona interessante, perbene. Sono un po' allergico a tutte le stupidaggini intorno al divismo, alle primedonne. Fanny ha accettato questa scommessa, si è messa a disposizione, non ha mai creato problemi, si è fidata di me, è stata umile, grande cosa che tanti dimenticano. Io ho il mio modo di lavorare, su cui non faccio sconti: prendere o lasciare. Se poi qualcuno non lo accetta, benissimo, si è in due. Io non mi sono mai precluso nulla, perché se comincio a fare i dogmi poi si perde un po' la bellezza di questo lavoro, in cui bisogna cercare di essere liberi, immaginarsi anche l'immaginabile, cioè che uno come me è riuscito a fare "l'Ora di punta" in Italia. Se lo avessi pensato in maniera razionale, non ci avrei dovuto dedicare un minuto al tentativo. Invece io ci ho dedicato tre anni, tanto sangue, tanta fatica, e quando tutti dicevano: "è assurdo" io ci sono riuscito. Adesso andiamo a Venezia, dopodichè a Toronto, il film uscirà in 90 copie. Insomma, vada come vada ho vinto.
Alla fine vale anche uno come si comporta. Uno in questi giorni mi chiedeva "che cos'è la politica". Per me è come si vive, come si interagisce col vicino di casa. Puoi essere anche di destra, ma poi se ti comporti bene, sei una brava persona, puoi essere addirittura meglio di uno più vicino alle mie simpatie che però poi è uno schifo di persona che non guarda in faccia nessuno. Insomma, io cerco di vedere gli esseri umani, non gli slogan, i clichè, le appartenenze. Il mondo è cambiato, quindi per me è un discorso di rigore, serietà, storie.
Che idea ti sei fatto lavorando su un mondo, quello della finanza, che attualmente è uno dei grossi problemi della nostra società, a partire dai furbetti del quartierino?
Vincenzo Marra: C'è prima di tutto l'idea di persone senza scrupoli che, come dico io, passerebbero sul cadavere della propria madre. E' l'ambizione personale, il tentativo disperato di uscire da un anonimato che è sempre più insopportabile. Ormai non so più che cosa si debba inventare la gente per farlo, quindi è un problema anche di valori che sta all'origine. Purtroppo pure quelli che occupano le classi dirigenti sono pieni di questo male secondo me infernale. E nonostante loro abbiano degli strumenti culturali, sociali, storici, poi non riescono a uscirne. Oggi c'è il tentativo totale di far di tutto per accrescere il proprio potere personale. Quindi si deve essere ambiziosi ad un livello altissimo, sfrontati, cinici, duri, egoisti. Ecco, sono tutte caratteristiche che secondo me appartengono a questo tipo di persone che può essere poi aldilà della finanza, può riguardare tantissimi strati della società.
Secondo, devono essere sicuramente aiutate da un sistema di cose, perché se un perfetto mediocre da un giorno all'altro si trasforma, diventa un altro, emerge senza avere particolari competenze, creatività o capacità, questo significa che c'è qualcuno che sta più in alto, che è già arrivato, che glielo permette. Perché sennò, in un ideale mondo meritocratico, ciò non potrebbe avvenire. Parliamo di cose molto concrete, cioè ci sta gente che è costretta a vivere con 8-900 euro con famiglia, senza prospettive, magari ammalandosi per poter tirare la carretta. E poi ci stanno degli zero assoluti che vanno in giro a fare qualsiasi cosa con stipendi, macchine, vestiti.
Infine c'è secondo me - a tutto tondo - una crisi di valori, non può essere tutto "numerologico", cioè quante donne, quante case, quanti soldi, quanto potere hai accumulato, quanta gente conosci. Questo è subculturale, questa gente si dovrebbe ricordare ogni tanto che alla fine "ha da murì" come si dice a Napoli.
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