05 Settembre 2008 - Conferenza stampa
"Gabbla (Inland)"
Intervista al regista e al cast.
di Mauro Corso

Gabbla è il secondo film della 65^ Mostra del cinema di Venezia che descrive un paese africano in un momento difficile dal punto di vista economico e sociale. Incontriamo il regista, uno degli attori e il produttore di questa pellicola algerina. La sala conferenza è gremita da un pubblico di addetti stampa francesi segno di grande interesse da parte di quest'ultimo per gli sviluppi politici e culturali della vecchia colonia.

In questo film sono presenti due tensioni: una tensione interna, verso il territorio algerino e una tensione esterna, per cui l'Algeria è vista come un territorio di passaggio.
Tariq Teguia: in Gabbla ho cercato di descrivere una serie di paesaggi compositi: l'Algeria urbana, l'hinterland a metà tra città e campagna, le zone desertiche, zone di abbandono. Non necessariamente percorsi interni, ma senza dubbio itinerari meditativi, che secondo me mutano profondamente verso il termine della pellicola per assurgere a una dimensione cosmica.

Quindi è un film che si basa anche su ritmi diversi...
Tariq Teguia: è proprio così. Da una parte c'è il ritmo vivace della contestazione politica, dall'altra il tono proprio dei percorsi urbani e rurali e poi il deserto, visto non dalla posizione classica ma considerato una zona lasciata a sé stessa, dimenticata dagli uomini.

Dunque in questo modo c'è un movimento centrifugo, di estensione verso l'esterno o centripeto, di avvolgimento su se stesso?
Tariq Teguia: l'uno e l'altro. Il movimento di Malek è una fuga verso l'interno. Gli altri personaggi mescolano e confondono le proprie linee di fuga verso l'esterno, come i giovani che alla fine vanno verso l'Italia. E' una catena di spostamenti.

Nel suo film c'è una particolare cura nella qualità dell'immagine e del suono.
Tariq Teguia: il cinema per me deve essere una sperimentazione continua, deve osservare attentamente la realtà e usare i linguaggi correnti per descriverla correttamente. Considero il mio lavoro come un'opera sincretica sempre in fieri, tengo sempre presenti tutti gli elementi, dal metraggio alla velocità al suono. Questi per me sono elementi sparsi. A volte chiedo a un amico di seguirmi per darmi un consiglio o magari do a un altro una telecamera a mano per seguire un attore da un certo punto di vista. Se si vuole esaminare in maniera corretta il presente bisogna usare sempre tutti i mezzi di cui si dispone.

Ha menzionato i linguaggi, e nel suo film ce ne sono molti. Qual'è il suo?
Tariq Teguia: In Algeria ci sono molte lingue, dialetti. Era importante dare una voce a tutti. Personalmente io non parlo l'arabo, parlo francese, è la lingua in cui penso, la lingua della mia educazione. Di fatto il francese mi è stato imposto come lingua d'uso. Ma nel film c'è tutto questo, c'è una forma molto particolare di arabo, l'arabo algerino. Fa parte della contemporaneità.

Il francese è la sua lingua. Qual'è invece il luogo da cui parte per il suo lavoro di regista?
Tariq Teguia: cerco di abitare ovunque in Algeria. Mi sembra fondamentale per capirla. Però non penso che uno si debba trovare in un posto particolare per parlarne. Mi sento come il personaggio principale, che rifiuta la morale anagrafica e cerca di uscire dai limiti imposti.

Il suo film è un caso isolato in un cinema algerino quasi del tutto assente.
Tariq Teguia: il problema, come al solito, sono i soldi. Noi proviamo a fare quello che possiamo nonostante il basso budget. Anzi, non aspettiamo che arrivino i soldi per iniziare a girare, iniziamo e basta.

Come è stato finanziato questo film?
F. Gliares: questo film è stato reso possibile da una rete di militanti. L'Algeria di oggi è un paese in forte transizione democratica e ogni tipo di innovazione, anche nel cinema, riceve l'impulso di una rete di militanti.

Qual'è il lavoro dell'attore in un film così basato sull'immagine in cui l'interprete passa necessariamente in secondo piano?
Y. Tegenia: in primo luogo non mi ritengo un vero attore. Sono stato invitato a recitare, ma in realtà interpreto me stesso. Il regista ha creato uno spazio di espressione e opposizione in cui muovermi. Ma non sono un attore professionista. Sono un militante.

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