Gabbla (Inland)
La volontà di interrogarsi sul proprio Paese legando le grandi vicende storiche del passato alle problematiche sociali del presente, non è prerogativa del cinema europeo (Germania in primis). Anche le giovani nazioni derivanti dalla frantumazione dell’impero coloniale del vecchio continente in Africa stanno cominciando a proporre storie dal grande respiro sociologico-intellettuale. La Libia investe sempre di più nella settima arte e viene a girare addirittura in Italia, il Marocco è meta in crescendo di film franco-maghrebini sul tema della frontiera, mentre l’Algeria (e così arriviamo al punto del discorso) con "Gabbla" dimostra di essere già sull’argomento.
Presentato alla 65esima Mostra del cinema di Venezia, il film di Tariq Teguia (già autore del soporifero Roma wa la n'touma, altro titolo presentato al Lido e che vanta, secondo il ricordo di chi scrive, il record, o quasi, di fughe dalla sala durante la proiezione) tenta, attraverso la vicenda del proprio protagonista, di raccontare il proprio Paese. Il dramma della miseria, il desiderio di fuga, le differenze tra etnie e la sfiducia che ne consegue: un popolo che non è unito e che vede solo nel trasferirsi altrove, nella violenza o nel rimarcare la propria superiorità su un fantomatico "altro", l’unica soluzione plausibile per mitigare la propria sofferenza.
Seppur la forma adottata dal cineasta nordafricano per dirci tutto questo sia affascinante e ricca di suggestive immagini (non a caso Teguia è anche un apprezzato fotografo), il ritmo imposto alla narrazione è così dilatato e, nella prima ora e mezzo, oltremodo dispersivo (non si capisce che il protagonista è un topografo, non si capisce perché giri a zonzo o cosa voglia fare), che ci si mette poco a distaccarsi dallo schermo e pensare che i nostri sogni possano essere più avvincenti. Particolare e interessante è invece l’utilizzo della colonna sonora con picchi di vera e propria visionarietà acustica. Ne esce un film perfettamente da festival, di quelli criptici e apprezzabili solo da palati oltremodo fini. Per tutti gli altri, e non è una colpa, meglio lasciare stare. Potrebbero essere i protagonisti di un remake di quanto accadde alla proiezione del precedente film di Teguia.

Andrea D’Addio

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