15 Aprile 2009 - Conferenza
"Fuga dal Call Center"
Intervista alla regista e al cast.
di Federico Raponi

In conferenza stampa a Roma, il produttore Gianfilippo Pedote, il regista Federico Rizzo, il direttore della fotografia Luca Bigazzi, gli attori Angelo Pisani, Isabella Tabarini, Peppe Voltarelli (che è anche tra i musicisti che hanno firmato la colonna sonora) e Isabella Rhode (che cura l'ufficio stampa) hanno presentato il film 'Fuga dal call center'.

Le interviste, presenti lungo tutto il film?
Federico Rizzo: sono reali, abbiamo fatto un giro per l'Italia a raccoglierle, tramite inserzioni come ad esempio sui free press, in luoghi neutri per poter far raccontare liberamente alle persone le loro esperienze e farle riflettere su cosa sta succedendo. Anch'io ho lavorato per 3 anni in un call center, ma non volevo arrogarmi il diritto di parlarne in un semplice film di finzione. Alla fine sono state circa un migliaio, poi le abbiamo date alla CGIL Lombardia e c'è l'intenzione di realizzarne un libro. Più che su una sceneggiatura, abbiamo lavorato su una scaletta, per il progetto cercavamo l'adesione di chi ci avrebbe partecipato, e abbiamo fatto un laboratorio con gli attori coinvolti. Tutto questo perché volevo un istant-movie fresco e spontaneo.

La partecipazione di Luca Bigazzi?
Luca Bigazzi: nasce da una lettera di proposta di Federico, a cui ho risposto accettando.
Federico Rizzo: Luca è un grande maestro, non avrei mai immaginato che rispondesse positivamente, ci ho provato e lui molto volentieri ha accettato. Praticamente gratis, e ciò gli fa onore, dimostra che c'è ancora gente che pensa ai giovani. Aveva lavorato al film 'Mobbing', in cui c'è un uso della macchina da presa a mano, che mi era piaciuto. Insieme abbiamo pensato a sviluppare un concetto di buio esistenziale, ma non cupo e dai discorsi seri, volevo fosse giocoso e con quell'ironia che può ricordare alla politica cosa deve fare. La seconda parte sviluppa l'estetica, è più simbolica, con allucinazioni e momenti onirici, ed il finale asciutto, sul tema della famiglia.

Non c'è traccia di sindacati e genitori…
Federico Rizzo: il sindacato non c'è proprio nella realtà, la CGIL ha accettato di partecipare alla realizzazione del film per aver modo di riflettere su certe condizioni di lavoro. Ad esempio io sono stato in un call center, ed ho assistito a scene atroci di mobbing su giovani madri ad opera di quelli che definivamo "l'evoluzione lampadata" del vecchi capoturno. I genitori sono un fantasma che aleggia in tutto il film, perché la politica di governo oggi è basata sull'ammortizzatore sociale della famiglia che invece sta venendo a mancare. Quella dei nonni è una metafora che uso per sottolineare quanto i vecchi siano, al momento, i soli che possono andare in vacanza. C'è stato un crollo delle aspettative, sia per i giovani che per i genitori verso i figli, per la prima volta la nostra è una generazione più povera della precedente.
Gianfilippo Pedote: ci sono anche due mondi che fanno fatica a comunicare, come nell'incontro al supermercato tra Peppe Voltarelli e Isabella Tabarini. Non riescono a capirsi, lui ha una vecchia matrice proletaria mentre lei è un'altra cosa, ma c'è alla fine un'apertura che cerca di compiersi - più che nella politica - nella solidarietà. Che manca e di cui si sente sempre più bisogno.

Parliamo anche della produzione del film…
Gianfilippo Pedote: siamo più produttori, e senza i mezzi classici come Ministero o televisione. Quindi è un film indipendente, possibile quando c'è una forte intenzione legata al valore del progetto, non ad uno scopo commerciale. Usciremo in 15 copie, con un'aspettativa di rientro economico, perché la realizzazione ha comportato un rischio da parte di piccole strutture, alcune dedite al cinema e alle opere prime come la Cooperatriva Gagarin che ha già prodotto 'Fame chimica', altre invece che lavorano sull'audiovisivo per la TV e il mercato industriale. Il costo è stato di 400 mila euro, in parte coperto da chi ha preso parte al film. Inoltre la partecipazione di personalità di talento ha creato sul set una dialettica proficua e interessante tra esperti e giovani.
Luca Bigazzi: è un film fatto in 15 giorni, quando normalmente ce ne vogliono 60. Già questa è una sfida molto importante. Qui la povertà non è mai stata un limite, e l'entusiasmo e l'energia hanno funzionato da contrappeso.
Isabella Tabarini: c'era voglia di condividere, credevamo nel progetto, far arrivare il messaggio ad un pubblico vario e alla politica è stato un intento comune.
Angelo Pisani: è un film talmente povero che per mangiare ci portavamo il cestino da casa. Sono d'accordo con il discorso di Luca sulla povertà, per me crea idee, stimoli, e sul set l'atmosfera era collaborativa, interessante. C'è stata euforia, non disagio, alla partenza.
Isabella Rhode: aggiungo che la distribuzione sarà diretta, se ne occupano i 5 produttori riunitisi nell'etichetta - per ora simbolica - "Orda d'Oro".
Gianfilippo Pedote: le major decidono le fette di mercato riservate al nostro cinema e la modalità per proporre un film, che è molto muscolare, con grande pubblicità e tantissime copie, fino a 900, che vuol dire tipo 1 sala su 3. Il film è considerato un prodotto commerciale da spremere massimo in un mese, capillarmente. Insieme ad esercenti stanchi di questa situazione si sta creando allora un circuito parallelo.

Il cinema italiano si sta interessando al precariato…
Federico Rizzo: non ho voluto vedere gli altri film sul tema perché avevo paura che fossero più belli, e anche per non esserne influenzato. Mi sembra giusto, importante che stia avvenendo, come lo era negli anni '70 per i film sugli operai. In questo momento storico stiamo arrivando ad una situazione di insostenibilità, in Italia siamo 6 milioni di precari che non sanno quale sarà il loro futuro, è devastante. In più, gli ammortizzatori sociali diminuiscono. I film sull'argomento creano un dibattito positivo, e in più c'è la questione dell'etica della rappresentazione, se si ha l'ambizione di fare dei film generazionali.

L'uso dell'ironia?
Federico Rizzo: John Landis e Mel Brooks sono grandi punti di riferimento. Io ho fatto un film sul call center per impormi di non tornarci. Quando lavoravo lì dentro ironizzavamo tanto sulla nostra condizione, ma si provava anche tanta vergogna, quando ci si vedeva la sera non si parlava della propria giornata, si viveva nella finzione ma in realtà si stava malissimo. E poi di fare un film depressiogeno non mi sembrava il caso.

Si è laureato con una tesi su Ermanno Olmi, che nel film viene citato…
Federico Rizzo: si, ovviamente il riferimento è a 'il Posto', il nostro è quello del 2009. Lui fece una trilogia sul lavoro, noi abbiamo fatto un film sulle nuove forme occupazionali.

Ha pensato di realizzare un film già durante le interviste?
Federico Rizzo: le interviste si sono svolte in 6 mesi, dall'inizio del 2007. Il film l'ho pensato allora. La sceneggiatura doveva avere dei buchi, per un confronto dialettico con le interviste. Il film è nato come "instant movie", di cui in Italia c'è una tradizione - come nel caso di Gian Vittorio Baldi, regista di 'Fuoco!' - che hanno un'energia particolare, con punte più alte e altre meno riuscite. Non ambisco a film di sceneggiatura, sono cresciuto alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, dove si sosteneva che il cinema deve liberarsi della letteratura. Mi piace Mike Leigh con le sue ingenuità, anche se è imperfetto, sporco, lo preferisco a quello che definisco il cinema del "funzionario", cioè che deve essere approvato dai burocrati.
Angelo Pisani: anche dal punto di vista recitativo, la mancanza di una vera e propria sceneggiatura stimola la propria componente autoriale e un'attenzione alta.
Gianfilippo Pedote: un film concepito e realizzato in questo modo ha liberato energie, aperto strade innovative, sperimentali, sviluppato un interesse - come nel caso della partecipazione di Luca - dal di dentro, con libertà, leggerezza, aspettativa.
Luca Bigazzi: è importante che non ci sia stato l'intervento né della RAI né di Medusa, che influiscono pesantemente con suggerimenti e obblighi velati.
Gianfilippo Pedote: i calcoli e i molti timori sugli esiti al botteghino hanno portato il nostro cinema in un momento difficile, mentre il film di Federico ci ha riuniti per la sperimentazione sulla produzione, sulle modalità di realizzazione, sul linguaggio e sul rapporto con il pubblico.

Come avete coinvolto i musicisti?
Peppe Voltarelli: mi ha cercato Federico, anche come attore. E' stata una delle mie prime esperienze, ne ho fatte pochissime. Anche nella musica c'è voglia di indipendenza, la scena è reale, viviamo di un rapporto attivo con il pubblico, di tanti concerti, di arte dal basso. Cantiamo anche senza grandi sponsor, c'è chi vive da 20 anni sul furgone a portare in giro il proprio disco. La scelta poi di chiudere il film con un pezzo delle 'Luci della Centrale Elettrica', sulla voce del loro cantante Vasco Brondi, considerato il nuovo Rino Gaetano, ci rappresenta tutti. Vedere il film mi ha lasciato un amaro che l'ironia non ha attenuato, ci ho trovato una vicinanza a Ken Loach. Ha dei tratti militanti, non con slogan e bandiere, ma con i fatti.

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