Cloverfield

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Cloverfield

FAKE REALITY SHOW: DA "THE BLAIR WITCH PROJECT" A "CLOVERFIELD":
L'ultimo eclatante esempio ne è sicuramente il chiacchieratissimo "Cloverfield", ma un certo modo di costruire film attraverso il montaggio di riprese falsamente amatoriali, al fine di far passare per autentiche le immagini sullo schermo privandole del senso della finzione, ha cominciato a farsi strada già a fine millennio scorso, in seguito all'inaspettato successo di "The Blair witch project-Il mistero della strega di Blair". Pellicola che, in realtà, aveva già avuto illustri predecessori, dal fin troppo simile "The last broadcast", diretto l'anno precedente da Stefan Avalos e Lance Weiler, ai rivalutati "Cannibal holocaust" di Ruggero Deodato e "Il cameraman e l'assassino" di Rémy Belvaux, André Bonzel e Benoît Poelvoorde, rispettivamente del 1980 e del 1992.

The Blair witch project-Il mistero della strega di Blair (The Blair witch project, USA 1999)
Assemblaggio cronologico di pellicole e nastri audiovisivi realizzati da tre studenti universitari misteriosamente scomparsi dopo essersi recati nel villaggio di Burkitsville, anticamente chiamato Blair, al fine di mettere su un documentario riguardante una leggendaria strega locale vissuta tre secoli prima. Tutto inventato, tutto falso: un lungometraggio genialmente concepito dagli allora esordienti Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez sfruttando una campagna promozionale basata su allarmanti notizie lanciate via web e che, grazie ai suoi settanta minuti scarsi di durata interamente rappresentati dalle soggettive della camera impazzita, ha finito per trarre in inganno non pochi spettatori terrorizzati. Quindi, un'opera definibile tranquillamente (e giustamente) come grande bluff se teniamo in considerazione i canoni classici dell'horror volto all'intrattenimento, ma che, oltre a portare tanta fortuna ai suoi due autori, ha finito per rivoluzionare un certo concetto di cinema dal taglio altamente realistico, fornendo anche un'interessante strada alternativa alle produzioni low budget. Joe Berlinger ne ha curato il sequel "Il libro segreto delle streghe: Blair witch 2", preferendo, però, il recupero dei banali binari del teen-horror.

The St. Francisville experiment (USA 2000)
Praticamente un clone del film di Myrick e Sánchez, i cui protagonisti sono quattro esperti di paranormale che, anziché ritrovarsi nei tetri boschi-dimora della fantomatica strega di Blair, finiscono per passare la notte in una villa che sembrerebbe infestata dagli spiriti, in quanto anticamente abitata da una ricca famiglia dedita alla tortura dei propri schiavi. Da uno come Ted Nicolaou, autore di un trash cult del calibro di "Terror vision-Visioni del terrore" e della serie "Subspecies" (in Italia "Vampiri"), c'era da aspettarsi qualcosa di più del noioso remake-fotocopia del lungometraggio da cui prende le mosse; poi, come sperare di ripeterne il successo una volta svelata la falsa realtà dei fatti?

The Bogus witch project (The Bogus witch project, USA 2000)
Come c'era da aspettarsi, un cult-movie del calibro di "The Blair witch project" non poteva fare a meno di finire nel mirino delle parodie, riletto perfino in chiave sexy (si pensi alla serie "Erotic witch project" o alla pellicolahard "Blair bitch project"). Quindi, al di là dei diversi short e commedie e degli assaggi di presa in giro inclusi nel primo "Scary movie" (2000), ecco una rilettura televisiva in chiave ironica firmata da ben otto registi (Victor Kargan, Steve Agee, Kelly Aluise, Susan Johnson, Alex Menane, Mark Mower, Sammy Primero, Alec Tuckman), in quanto collage di cortometraggi ispirati al film del 1999. La camera è frenetica come al solito, ma il tono, ovviamente, è scanzonato e tutt'altro che terrorizzante, anche se ridere nel corso della visione è impresa ardua.

Progetto Sapientia (Italia 2001)
Ciò che state per vedere è vero: un medium magista spiritista, un sensitivo con doti medianiche tramite scrittura automatica, uno scrittore, un ricercatore chimico occultista, uno psicologo ipnologo, un'attrice appassionata di esoterismo e Stefania Di Giandomenico (anche produttrice del film), manager medium inconscia, tutti insieme alle prese con sedute spiritiche e fenomeni paranormali all'interno di un ex convento-tribunale contro la stregoneria. Ecco cosa succede quando un italiano scimmiotta "The Blair witch project": girato in parte a colori e in parte in bianco e nero, un film noioso, lungo (circa 120 minuti di durata) e, soprattutto, involontariamente ridicolo. Dietro la macchina da presa, il musicista Al(berto) Festa meglio seppe fare con il sottovalutato thriller argentiano "Fatal frames-Fotogrammi mortali" (1996).



My little eye (My little eye, Gran Bretagna-USA-Francia-Canada 2002)
Oggi è il regista di "In prison my whole life", ma qualche anno fa Marc Evans denunciava su pellicola quanto di incivile c'è nel Grande fratello e derivati. Girato con un budget limitato e camere digitali fisse, infatti, "My little eye" racconta di due ragazze e tre ragazzi selezionati per partecipare ad un reality show, seguibile via internet, all' interno di una casa sperduta nel bosco, dove, tra invadenti webcam ed ignoti organizzatori, qualcosa di sinistro li aspetta. Ed il risultato è un piccolo grande film sperimentale costruito su una lunga attesa che, tra inquadrature-soggettive filtrate in verde, ronzii di zoom fuori campo e la quasi totale assenza di temi musicali nella colonna sonora, privilegia la fredda rappresentazione della realtà; fino ad un' ultima mezz' ora ricca di colpi di scena culminante in un tutt'altro che consolatorio finale.

Il mistero di Lovecraft-Road to L. (Italia 2005)
Diretto a quattro mani da Federico Greco e Roberto Leggio, vede protagonista una piccola troupe intenta a ricostruire le vicende che portarono il celebre scrittore horror H.P. Lovecraft nel Polesine, nel lontano 1926, dove, tra leggenda e realtà, pare sia entrato in contatto diretto con creature soprannaturali ispiratrici per la stesura di gran parte dei suoi lavori, su tutti "La maschera di Innsmouth". Uno spunto interessante ed a suo modo inquietante che finisce, però, per fare soltanto da base all'ennesimo pseudo-documentario alla "The Blair witch project", dal quale non ricalca proprio l'elemento fondamentale: la grossa "macchina pubblicitaria" costruitavi attorno al fine di far passare il materiale filmato per il residuo di una tragedia avvenuta.

[Rec] ([Rec], Spagna 2007)
Intenzionata a realizzare uno scoop relativo ai pompieri in azione, la giovane reporter Angela li segue, insieme all'onnipresente cameraman, all'interno di un edificio in cui sembrerebbe essere in pericolo una donna. Il modello di partenza è con ogni probabilità il solito film di Myrick e Sánchez, ma Jaume Balagueró e Paco Plaza (rispettivamente registi di "Darkness" e "I delitti della luna piena"), nel costruire una vicenda per intero attraverso l'occhio elettronico della camera dell'operatore, concedono fortunatamente non poco spazio allo splatter ed alla fisicità dei mostri in questione, rappresentati da contaminati zombeschi che affollano il condominio. Mentre il sonoro, dispensatore in particolar modo di angoscianti urla, contribuisce in maniera fondamentale a generare paura nello spettatore.

Redacted (USA-Canada 2007)
Da un virtuoso come Brian De Palma c'era da aspettarsi prima o poi la sperimentazione del falso documentario. Quindi, ispirata allo stupro di una quindicenne irachena attuato da elementi dell'esercito americano nel 2006, ecco la ricostruzione dei fatti per mezzo di video fittizi e interviste a cinque marines in verità interpretati da altrettanti attori. E c'è spazio anche per un rifacimento dell'impressionante e ormai nota decapitazione del soldato americano, all'interno di un crudo ritratto bellico che, seppur altamente godibile, conferma in maniera fastidiosa la sua ruffiana natura man mano che i fotogrammi scorrono sullo schermo. Fino alle fotografie delle vittime poste in coda alla pellicola, che tanto ricordano l'infinità di squallidi servizi televisivi strappalacrime.

Diary of the dead (USA 2007)
Alla fine, anche l'insuperabile maestro del cinema di zombi George A. Romero, dichiarato estimatore di "The Blair witch project", ha ceduto alla tentazione di sperimentare il realismo a basso budget della sequela di soggettive e riprese eseguite a mano. Tra effetti gore (meno del solito, in verità) e immancabile pessimismo politico made in USA, lo scenario è ancora una volta un mondo devastato ed invaso dai morti viventi, i quali daranno filo da torcere ad alcuni studenti di cinema intenti a girare un film dell'orrore nei boschi insieme al loro professore.

Cloverfield (Cloverfield, USA 2008)
Sotto la produzione di J.J."Lost"Abrams, il televisivo Matt Reeves torna alla regia cinematografica - dodici anni dopo "Tre amici, un matrimonio e un funerale" - con un mix tra "Godzilla" e "The Blair witch project". Ricorrendo alla solita camera impazzita da effetto mal di mare, infatti, si comincia con una festa in casa tra amici newyorkesi che, convinti di trovarsi improvvisamente ad avere a che fare con una forte scossa sismica, scoprono che è in verità una mostruosa creatura gigante che sta provvedendo a radere al suolo la città. Quindi, con ampio sfoggio di ottimi effetti speciali ed un crescente senso di ansia ed angoscia, si sfrutta in maniera intelligente il (sotto)genere (in questo caso il monster-movie) al fine di ricostruire realisticamente la paura dell'America post-11 settembre nei confronti del terrorismo, male tanto invisibile ed inspiegabile quanto l'essere rettiliforme protagonista del film. E, non a caso, l'affascinante immagine della Statua della Libertà decapitata finisce per incarnare un inquietante segnale pessimista.

Francesco Lomuscio



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