26 OTTOBRE 2004 - Conferenza stampa
SEPTEMBER TAPES
Intervista a Christian Johnston
di Renato Massaccesi


Intervista in esclusiva per Filmup con il regista di "September tapes".

Pensi che Don Larson (il personaggio principale del film) sia un "eroe americano" nel senso tradizionale del termine?
Io penso che Don Larson rappresenti in un certo senso il tipo di molti giornalisti americani, il loro modo di affrontare il mondo che è sfacciato, sopra le righe. Te lo posso dire perché ho passato molto tempo in Bosnia ed i soldati dicevano ai giornalisti: "se tu vuoi noi ti portiamo verso la storia, ma se vuoi entrare veramente dentro la storia, allora devi andare dalla parte opposta". Ed è per questo che devi essere veramente un "duro" se vuoi affrontare situazioni del genere. Don Larson in questo film rappresenta una sorta di "american bravado". Lui deve buttarsi con impeto nelle cose, deve occuparsi dei suoi problemi, non riesce a capire le persone che gli stanno intorno, non le ascolta, molte volte coinvolge nelle sue avventure persone innocenti mettendole in serio rischio, e infatti molte volte muoiono. Questi personaggi a volte perdono la direzione, il senso della realtà, perché nella loro testa c'è posto solo per la vendetta.

C'è però il fatto che lui fa questa guerra personale per un motivo veramente doloroso, la morte della moglie. In un certo senso è anche giustificata la sua reazione. In un certo senso è un personaggio controverso.
È vero, all'inizio del film Don Larson dice: non importa più niente, ho un solo scopo, trovare il responsabile di questa tragedia. Lo spettatore deve seguirlo per riuscire a capire quello che sta facendo. Forse la persona è sbagliata ma quello che sta facendo è giusto. Possiamo riuscire a capire che è in uno stato emozionale molto scosso. Ci sono molti film americani in cui compaiono questi personaggi, assolutamente confusi ma con una missione; da Travis Bickle (Robert De Niro in "Taxi driver") fino ad arrivare alla maggior parte dei personaggi dei film di Scorsese. Personaggi come Carlos Brigante (da "Carlito's way") nel film di Brian Di Palma possono risultare interessantissimi proprio per questa loro personalità.

Pensi che ci sia una rinascita del cinema politico americano come successe negli anni settanta?
Io penso che abbiamo l'opportunità di produrre film con storie che facciano pensare la gente. Io sono sempre stato un grandissimo fan del cinema europeo. Molte volte i giornalisti paragonano il mio film a "Blair Witch Project" ma molte volte non sanno che "Bair Witch" ha preso l'ispirazione da un altro film "Cannibal Holocaust" (diretto dal nostro Ruggero Deodato) dove una spedizione di giornalisti scompare in una foresta. E prima di questo c'era addirittura un film belga intitolato "Man bites dog" che parla dello stesso argomento. E prima di questo ci fu "La battaglia di Algeri" (capolavoro di Gillo Pontecorvo), che è molto vicino al mio film perché forse è il primo film girato in una zona di guerra, durante l'occupazione francese dell'Algeria. Quindi io penso che bisogna far capire alla gente che quello che vedono è reale. Io penso che le elezioni negli Stati Uniti verranno decise in parte anche dal fatto di capire dov'è Osama Bin Laden. Perché non lo abbiamo catturato, perché lo abbiamo lasciato andare. Chi ha visto il film di Michael Moore ha potuto capire che "Farenheit 9/11" cercava di individuare i motivi che spingevano alla guerra gli Stati Uniti. Quando noi abbiamo girato il film due anni fa il governo americano non sapeva dov'era Osama, ma in un certo senso noi lo sapevamo perché questo è quello che le persone ci dicevano. Quando siamo arrivati in Afghanistan abbiamo capito che i giornalisti americani che vedevamo in televisione non c'erano, forse si nascondevano, forse avevano paura di raccontare le storie della gente.
Quando siamo arrivati sul posto abbiamo scoperto che le cose non erano come ce le raccontava la televisione. Anche un documentario può essere realistico fino ad un certo punto. Dal momento che un uomo ha la telecamera puntata addosso si comporta in maniera non realistica. Io ho lavorato con Greg Norman, nominato agli Academy Awards, e ho iniziato un progetto anche con molti amici documentaristi. Abbiamo capito che per quanto si possa lavorare su qualcosa di già scritto, c'è sempre qualcosa che sfugge al controllo, specialmente in un film come questo girato in un paese in guerra.


  

Intervista a Christian Johnston


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