02 Dicembre 2011 - Conferenza
"Bed Time"
Intervista al regista.
di Marta Gasparroni
Molto spesso la paura è suscitata da quello che non si conosce e l'uomo da sempre ricorre a stratagemmi, miti e leggende, entrate a far parte del nostro patrimonio culturale per tentare di dare una spiegazione a quello che ci circonda. Una sorta di ritorno all'epoca dei Lumi, quando la fiducia nella ragione e nella scienza, nei fatti e nella loro verifica tangibile comportava un relativo dominio della natura e di eventi altrimenti inspiegabili, isolando l'uomo sotto l'egida di costruzioni mentali con fondamenta che si credevano solide. Ma che succede quando il male si annida in tutto quello che conosciamo, nidificando proprio nel guscio di protezione, infrangendo dall'interno quella membrana liminare tesa a difesa della natura umana. Si avverte una sorta di piacere inconscio e recondito nel riscoprire quello che si è capaci di fare, soddisfacendo perversioni individuali. Del resto, lo afferma lo stesso Jaume Balagueró, "fa parte della natura umana avere un lato oscuro nel profondo di sé".
Dopo film come Rec e Darkness, che poggiano su un soggetto soprannaturale, com'è stato il ritorno ad uno script di stampo intimista e psicologico?
Jaume Balagueró: Si è trattato di un'esperienza molto piacevole, sicuramente molto diversa da quella che aveva investito Rec. La narrazione più soggettiva e lineare di Bed Time richiedeva ovviamente un'impostazione di tipo più classico, di conseguenza un ritorno ad uno stile più convenzionale, in tempo reale, a partire dallo stesso montaggio.
Per la prima volta con Bed Time si è trovato a lavorare su un soggetto non suo, come è stato? Ha dovuto adattare la storia alle sue esigenze? Quali cambiamenti ha apportato?
Jaume Balagueró: Il primo cambiamento è stato lavorare su una sceneggiatura non mia, appunto. La storia originale è ambientata a New York, quindi la rilocazione in Spagna, a Barcellona, è dovuta principalmente ad un gusto personale per quanto riguarda cambiamenti più specifici, ho eliminato la voce fuori campo che nel libro trascrive le emozioni del protagonista. Io ho preferito puntare maggiormente sulla suspense della narrazione.
Ci sono dei riferimenti alla cultura horrorifica internazionale. A quali registi italiani si è ispirato?
Jaume Balagueró: Non circoscriverei tutto all'Italia, diciamo che tutti ormai parlano la stessa lingua, proprio per l'interculturalità che permea il mondo intero. Siamo cresciuti e ci siamo imbevuti di un bagaglio internazionale e abbiamo avuto totale libertà di attingere a molte fonti. Tutti i tipi di riferimento sono internazionali. Per quanto riguarda il panorama italiano, ovviamente il genere horror è stato fondamentale nella mia filmografia. Da giovane vedevo Dario Argento, Joe D'Amato - che ha anche girato alcuni film porno - Bava e molti altri.
Rec 3 è uscito in Spagna per la semana santa, mentre in Italia sembra ancora un miraggio. Rec 4, invece, stando ad alcune indiscrezioni, sembra avere dei punti di contatto con i primi titoli della serie. A che punto sono le riprese? Sono previste ulteriori pellicole legate alla saga? È ambientato in una nave?
Jaume Balagueró: Ci sono dei riferimenti ai precedenti, primo fra tutti al secondo episodio della saga, Rec 2. In generale, però ci saranno moltissime sorprese e dei cambiamenti di luogo. Posso dire che sarà molto diverso da quello che si aspetta il pubblico, ma non posso fornire nessun altro tipo di anticipazioni.
Tornando a Rec, e al panorama dell'horror movie in generale, molti altri film successivi fanno chiaramente richiamo al suo lavoro. Si tratta di uno stile che sta guadagnando costantemente un proprio terreno di rivalsa oppure si girano pellicole che non aggiungono nulla di nuovo a questo campo d'indagine?
Jaume Balagueró: Quando i film generano un determinato successo si registra sempre uno sviluppo successivo. Per esempio, i film sugli zombie hanno avuto tutto un seguito. Qui, invece, siamo di fronte ad un film molto più soggettivo. Credo che questo tipo di genere è stato molto divertente, all'inizio ha creato grande sorpresa nella propria epoca. Io mi sono proiettato più sul tempo reale, senza lavorare sull'editing di un precedente nastro. Secondo me è importante mettere lo spettatore all'interno dell'occhio della cinepresa, implicarlo in ciò che succede, immergerlo nella realtà e devo dire che non ho visto spesso un tipo di esperienza simile, perché è un lavoro molto difficile. Bisogna mostrare una vicenda in tempo reale e inserire lo spettatore nel momento in cui si sviluppa il racconto e ci sono mille modi di declinazione diversa. Un processo del genere non ha solitamente montaggio e questo è qualcosa di molto complicato.
Più complicato rispetto alla costruzione di un personaggio tanto ambiguo e complesso come quello interpretato da Luis Tosar?
Jaume Balagueró: Tutto è complicato al cinema. L'elemento di sfida è certamente molto importante. La sfida era appunto la costruzione di questo personaggio, profondamente sgradevole e perverso, tuttavia riusciva a suscitare una sorta di strana empatia con lo spettatore, che si trova a tirare un sospiro di sollievo ogni volta che lui riesce a sfuggire dalla cerchia del sospetto. È un tipo di cattiveria che suscita fascino e partecipazione. Lo spettatore si vede quasi forzato ad assumere una posizione morale nei confronti della situazione. Un gioco morale all'interno del quale lo spettatore è costretto a compiere una scelta tra il bene e il male. Inoltre si scopre a mettersi in discussione, interrogandosi sull'origine dell'assurda soddisfazione che prova quando il cattivo riesce a farla franca.
Ripartendo da Rec e dall'ambientazione legata al condominio, qui torna un luogo chiuso, un edificio, un microcosmo da cui può emergere la cattiveria. Cosa rappresenta la scelta di questa sorta di mondo claustrofobico in un film che si allontana dal soprannaturale?
Jaume Balagueró: Si tratta di una storia perfetta da ambientare in un condominio, perché è un ambiente che conosciamo molto bene e proprio per questo vi prendiamo parte più emotivamente, sentendoci maggiormente implicati in circostanze simili.
Com'è stato avvertito il cambio di stile da una tecnica come il mockumentary ad un lavoro di ordine psicologico, legato all'inconscio?
Jaume Balagueró: Possiamo dire che il mockumentary ha rappresentato l'eccezione. Mi ritrovo di più nell'ambito di uno stile più tradizionale, con tutti i suoi schematismi a partire dal montaggio stesso, la musica e i suoni. Certo, il mockumentary implica un reinventarsi, delle forme e dei modi per giungere ad una suspense totalmente diversa da quella tradizionalmente intesa. Tuttavia è quella classica e lineare a rappresentare per me la forma perfetta, la norma che risale anche ai miei primissimi film.
Se alla fine della visione di Rec sorgevano spontanee alcune domande sul mondo della cronaca e della televisione, quali domande suscita un film come Bed Time? Si è troppo ingenui o si tende a dare un'eccessiva attenzione a quello che ci circonda?
Jaume Balagueró: Credo che il tema centrale di questa vicenda sia la vulnerabilità e la fragilità a cui è soggetta la nostra privacy, la nostra intimità. In casa crediamo di essere sicuri e protetti, ma in realtà c'è sempre la paura di essere violati e ciò dipende anche dalle connessioni che la società contemporanea ha sviluppato nei confronti dell'esterno. Con la nuova tecnologia ognuno è in grado di sapere la posizione e i movimenti di tutti. Il mondo privato viene a frammentarsi e questo suscita paura.
Crede che ci troviamo in un periodo storico adatto per provare simpatia nei confronti di un protagonista particolare come Cesar, un po' maniaco e un po' perverso?
Jaume Balagueró: È sempre un periodo adatto. Lo spettatore percepisce tutto questo come un gioco. È un fattore ludico quello di immedesimarsi in un protagonista malvagio e diabolico. In camera avremo il poster di Hannibal Lecter, percepito come un eroe, non quello di zombie o fantasmi. Sono le persone ad essere malvagie, non personaggi o le creature di fantasia.
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