South of the Border
Tutti ricordano il presidente del Venezuela Chavez come quel mattacchione che nel 2006 in un discorso alle Nazioni unite definì George W. Bush il diavolo e in riferimento alla sua presenza su quello stesso palco il giorno prima aggiunse "si sente ancora l’odore di zolfo". Chavez è considerato dai media statunitensi un pericoloso dittatore, un destabilizzatore dell’area sudamericana e una minaccia per la pace nel prossimo futuro. In uno dei primi spezzoni proposti da "South of the border" una giornalista riprende una dichiarazione di Chavez che sembra non poter andar avanti senza la sua "cocoa paste". La professionista confonde la parola "cacao" con “cocaina” dando inizio a una serie di gustosi malintesi. E’ solo il principio, suggerisce Stone, della campagna denigratoria permanente nei confronti di Chavez. Con questo documentario Oliver Stone ha voluto fornire al pubblico una versione alternativa alla vulgata mediatica sull’attuale leadership sudamericana. Il regista statunitense si è voluto concentrare principalmente su Chavez perché costituisce un caso emblematico ed esemplare per i presidenti di tutta l’America meridionale. Stone articola il suo film secondo la narrativa tipica dei documentari di montaggio, aggiungendo però una serie di interviste che il regista ha realizzato nel corso di un viaggio, come suggerisce il titolo, a sud del confine statunitense. Il messaggio che Stone vuole trasmettere al suo pubblico è che la percezione che il pubblico ha di questi paesi è spesso distorta per assecondare interessi neocolonialisti. I leader dei vari paesi che Stone visita, tra cui Venezuela, Bolivia, Argentina, Cuba e Brasile, in realtà vogliono "solamente" avere il controllo delle proprie risorse naturali (il Venezuela è il terzo esportatore mondiale di petrolio) e la fine dell’ingerenza statunitense nei propri affari interni. A questo scopo Stone accosta dichiarazioni di presidenti più rispettabili, come Lula, alle frasi di presidenti meno rispettabili, come per l’appunto Chavez, mettendo in luce la comunanza d’intenti e il proposito finale di creare un’unione commerciale e politica di tutti i paesi dell’America del sud. Per facilitarsi il lavoro Oliver Stone cerca di mostrare anche il lato umano degli illustri intervistati. Possiamo dunque vedere il regista di Platoon giocare a calcio con Evo Morales o dirigere Chavez mentre circola nel giardino della sua casa natale a cavallo di una bicicletta da bambino. Anche qui Obama viene visto come un portatore di novità nella politica estera Usa. A volte lo zelo di Stone può virare in un territorio che sembra confinare con la propaganda (riprendere Chavez nell’atto di guidare la propria vettura è piuttosto caratteristico dei ritratti propagandistici), eppure questo "South of border" ha il pregio di offrire una chiave di lettura differente, che in via ipotetica può suggerire nuovi approfondimenti nei confronti di territori le cui dinamiche politiche sono certamente meno note al grande pubblico.

La frase: "Anche se mi vestissi da prete con il cappello rosso mi chiamerebbero tiranno (Chavez)".

Mauro Corso

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