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Sotto la sabbia
Sposati da venticinque anni, Marie e Jean formano una coppia consolidata il cui rapporto non ha più bisogno di molte parole per l'intesa stabilita da tempo e per la comprensione che anticipa oramai i pensieri. Come ogni estate partono per la loro casa delle vacanze nelle Landes, per approfittare della spiaggia ampia e deserta e del mare. Ed è proprio su quella bella spiaggia, in lotta costante con il frangersi degli ampi marosi, che Jean scompare, mentre Marie si è addormentata.
Il mistero che avvolge la sparizione permane costante per tutto il film, scritto profondamente sul viso tirato della donna che caparbiamente decide di non accettare la scomparsa, riprendendo il corso della sua vita nella bella casa di Parigi.
Continua così a dividere la propria esistenza lasciando che le compaia sempre davanti l'immagine del marito, fantasma che risponde al suo desiderio di averlo ancora accanto come una volta, senza però riuscire a cancellare la solitudine e il sentimento di abbandono che la tormentano, tornando a galla prepotentemente. L'elaborazione di questo lutto non riesce ad avvenire neppure con l'aiuto di un uomo con il quale intesse una relazione difficile, contro la quale Marie stessa sembra combattere, mentre confonde le sue carezze con quelle ancora profondamente desiderate del marito.
Impenetrabile resta il mistero della scomparsa di Jean accompagnato dal dubbio e l'incertezza di Marie che dipenda da lei piuttosto che da una disgrazia. Neppure il ritrovamento del cadavere le darà la certezza di una morte casuale o desiderata e ancora una volta, davanti all'evidenza di quel corpo martoriato, deciderà di non accettare, rimanendo strettamente legata all'amore per il compagno d'una vita, follemente ancorata alla speranza di un futuro insieme.
Il giovanissimo regista parigino François Ozon, nel suo quarto film, analizza con minuzia il dolore profondo e silenzioso della perdita. Non cede alla semplicistica tristezza ma rimane costantemente ancorato ad una lucida sincerità, provocando nello spettatore una forte empatia con il personaggio, perché ritrova nella sua esperienza il proprio dolore per tutte le perdite e gli abbandoni che la vita immancabilmente impone.
Grande prova per Charlotte Rampling: per sua stessa ammissione attraverso Marie racconta molto di sé e della sua intimità: il proprio timore, costante e personalissimo, della solitudine, della vecchiaia, dell'assenza. Senza troppe parole, l'intimo rimane espressione del volto e dei gesti.
Tra le pieghe amare della bocca o lo sguardo perduto in un lontano orizzonte si esprimono tutti i dolori più grandi e più irreparabili di Marie, e di tutti noi.
Valeria Chiari
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