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Shazam!La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio22 marzo 2019Voto: 6.5
Solo i più puri di cuore sanno resistere alle tentazioni.
Ne sa qualcosa il giovane Billy Batson interpretato da Asher Angel, il quale, rimasto orfano e adottato, su concessione di un anziano mago dalle fattezze di Djimon Hounsou ottiene la capacità di trasformarsi in un supereroe adulto pronunciando semplicemente la parla “Shazam”, acronimo che sta per Salomone, Hercules, Atlante, Zeus, Achille e Mercurio.
Perché, assumendo i connotati di Zachary Levi, possiede la saggezza del primo, la forza del secondo, la resistenza del terzo, il potere del quarto, le abilità di combattimento del quinto e la velocità del sesto questo individuo che, dal costume simile a quello di Flash, è anche in grado di manipolare l’elettricità e di essere immune ai proiettili. Del resto, proprio come il velocista creato da Gardner Fox e Harry Lampert, la sua genesi è avvenuta è nel 1940 sulle pagine dei DC Comics, dove, in maniera curiosa, si chiamava inizialmente Capitan Marvel, oltretutto anticipando, in un certo senso, il soggetto alla base di “Big – Grande”, diretto quasi cinquant’anni più tardi da Penny Marshall. Un cult eighties qui chiaramente omaggiato nel momento in cui fa una fugace apparizione il pianoforte gigante suonabile camminando sui tasti come fece nel 1988 Tom Hanks; mentre da un lato abbiamo Mark Strong nei panni del malvagio dottor Thaddeus Sivana, dall’altro Freddy alias Jack Dylan Grazer, amico di Billy che lo supporta nella messa in pratica delle facoltà acquisite, ma che, allo stesso tempo, non nasconde nei suoi confronti una sorta di gelosia dovuta alla popolarità raggiunta dalla nuova identità maggiorenne. Un aspetto analogo a quanto accadeva nel 2017 in “Spider-man: Homecoming” di Jon Watts, che chiudeva accompagnato dalle note della “Blitzkrieg bop” eseguita dagli stessi Ramones che, curiosamente, in questo caso rileggono invece la “I don’t want to grow up” di Tom Waits durante lo scorrimento dei titoli di coda. Titoli di coda nel cui corso, tra l’altro, è posta l’ultima sorpresa di queste oltre due ore e dieci di visione che, dopo un’apertura nella New York del 1974, delineano in maniera progressiva un cinecomic immerso in una morale inevitabilmente relativa alle responsabilità da prendere nella giusta fascia di età, come testimonia anche il fatto che la madre originale del protagonista avesse soltanto diciassette anni. Un cinecomic che, tra la “Don’t stop me now” dei Queen inclusa nella colonna sonora e un’immancabile sequenza con bus da salvare nella caduta da un ponte, lo specialista in horror David F. Sandberg – autore di “Lights out – Terrore nel buio” e “Annabelle 2: Creation” – mette in piedi privilegiando l’azione, tanto che il buon ritmo generale risulta non poco accomunabile alla efficace vecchia scuola di trasposizioni in fotogrammi da fumetti. Senza spingere a gridare al capolavoro, ma riuscendo ad intrattenere con mestiere fino al coinvolgente scontro conclusivo consumato all’interno di un luna park, tra demoni in agguato e ruota panoramica in serio pericolo... per consegnare allo spettatore un riflessivo interrogativo: cosa hai a fare il potere se non hai nessuno con cui condividerlo? La frase dal film:
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