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Per un pugno di dollari
Al primo impatto, non sembra quasi avere senso recensire nel 2007 il primo capitolo della cosiddetta trilogia del dollaro realizzata tra il 1964 ed il 1966 da Sergio Leone, il quale, però, si firmò Bob Robertson in memoria del padre Vincenzo, noto con il nome d'arte Roberto Roberti.
Ma, oggi che presso la 64ª mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, nella sezione relativa alla storia segreta del cinema italiano dedicata al western, ci viene riproposto in copia restaurata, non possiamo fare a meno di tornare ad interessarci della vicenda del pistolero solitario senza nome con le fattezze di Clint Eastwood, il quale, finito a San Miguel, cittadina in confine tra gli Usa ed il Messico, si vende per un pugno di dollari alle due famiglie rivali del posto: i Rojos, commercianti di alcool, ed i Baxter, venditori di armi.
Quindi, introdotti dalle celebri note di Sua Maestà Ennio Morricone, abbiamo il piacere di riscoprire un Mario Brega pre-coatto verdoniano ed un Gian Maria Volonté una volta tanto lontano dai set esplicitamente filocomunisti, rispettivamente nei panni del corpulento Chico e dello spietato assassino Ramón Rojo, abilissimo con il fucile.
Anche se, a partire da "L'americano", soprannome che viene affibbiato al protagonista, è evidente che la politica non sia del tutto assente nel film di Leone, secondo cui, come ormai è noto, Eastwood possedeva soltanto due espressioni: una con il sigaro ed una senza.
Però, al di là di aneddoti, sottotesti e metafore, ciò che veramente c'interessa è la capacità del futuro regista di "C'era una volta in America" (1984) di sfruttare i pochi mezzi a disposizione al fine di ricreare il genere, attraverso un'ottica produttiva di taglio sicuramente artigianale tricolore, ma che nulla aveva da invidiare agli elaborati partoriti dall'inaffondabile industria d'oltreoceano.
Infatti, se maestri riconosciuti del calibro di John Ford e Howard Hawks potevano godere di scene di massa ambientate in immense vallate, "Per un pugno di dollari" si basa su inquadrature dal respiro molto meno ampio, costruito prevalentemente tramite quei mitici primi piani che hanno contribuito in maniera fondamentale a delineare le figure di eroi e nemici come sarebbe poi successo anche nei due tasselli successivi: "Per qualche dollaro in più" (1965) e "Il buono, il brutto, il cattivo" (1966).
Senza contare l'effetto notte che più volte ricorre nell'eccellente fotografia di Massimo Dallamano, il quale provvede a creare quella giusta atmosfera pseudo-crepuscolare divenuta uno dei marchi di riconoscimento di una trilogia che, non priva d'ironia ed infarcita di cruda violenza, ha finito per influenzare non poco i lavori di autori come John Woo e Quentin Tarantino.
Quello stesso Quentin Tarantino che, all'epoca dell'uscita di "Per un pugno di dollari" nelle sale, non avrebbe certo parlato negativamente della nostra produzione cinematografica come lo fa oggi.
La frase: "Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è un uomo morto".
Francesco Lomuscio
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