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Ru guo ai (Perhaps Love)
Questo film è ideologicamente un Capolavoro, in quanto nella mia breve memoria cinematografica, non ricordo di aver mai incontrato un regista hongkonghese che abbia avuto il coraggio e la capacità di confrontarsi con un genere tipicamente hollywoodiano come il Musical.
Peccato solo per l'evidente amore di Peter Chan per quel Moulin Rouge di Baz Luhrmann, da cui si ispira in maniera fin troppo esplicita e in più scene.
Basta l'incipit, la prima scena che mostra la festosità del circo con personaggi iconograficamente allucinanti che ballano, bevono e si ubriacano, per ricordarci di Harold Zidler che ci guida magnificamente all'interno del suo Moulin Rouge.
Senza contare la direzione d'attori, che riflette in Takeshi Kaneshiro la stessa espressività di Ewan Mcgregor come uomo romantico e sognatore, con il cuore dolorante per l'amor perduto.
Però Perhaps Love rimane irresistibile, più che altro per la novità e la portata del progetto: è ancora una volta emblema di quanto l'oriente sia sempre più vicino all'occidente, la globalizzazione cinematografica infuocata che merita studio e attenzione.
Insomma, Scorsese rifà Infernal Affairs e Verbinski rifà The Ring. L'oriente, invece, non rifà niente, ma si limita a cogliere qualche ideologia, aggiungendoci comunque una propria visione personale ed autoriale.
Peter Chan, già autore di quel romanticissimo Comrades: Almost a Love Story, allestisce una messa in scena poetica, dimostrando la sua grande bravura nel creare immagini da sogno, come il Takeshi Kaneshiro immerso nell'acqua, in bilico tra sogno e realtà, vita e morte, gioia e dolore. E poi, quella meravigliosa, bellissima scena della lacrima in contre-plongèe: non ricordo di aver mai visto in vita mia una lacrima immortalata in contre-plongèe (inquadratura dove la macchina da presa è riposta verticalmente in basso), è un'aggressione del dolore verso la macchina da presa (e quindi verso il quadro e gli spettatori), lacrime che come gocce di pioggia bagnano lo spettatore condividendo con loro la propria tristezza.
E chiaramente, quella bellissima musica pop che sentiamo per tutta l'opera, quella musica che si lega alle immagini nota su nota, in piena simbiosi/metempsicosi di scambio culturale artistico: l'immagine che completa la musica, e la musica che completa l'immagine. Quasi come fossero anime gemelle.
La frase: "Come ti chiami? Scimmia"
Pierre Hombrebueno
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