L'isola
Ostrov, di Paul Longuine è stato il film di chiusura per la 63° Mostra del cinema di Venezia. Ancora una volta ci troviamo in Russia, in una regione settentrionale come tante, sperduta, desolata, emblema di uno stato non solo ambientale quanto soprattutto esistenziale. La pellicola inizia nel 1942. Un adolescente viene catturato dall'esercito tedesco e costretto da un ufficiale ad uccidere un suo compagno per avere salva la vita. Si tratta ovviamente di una delle "non-scelte" perpetrate dai nazisti e comuni in molti luoghi durante la seconda guerra mondiale. Studi successivi hanno però dimostrato che si tratta di traumi impossibili da superare per chi li ha subiti, come è impossibile cancellare il senso di colpa per un'azione compiuta in sospensione del libero arbitrio. Quell'adolescente trent'anni dopo è diventato uno starets, un maestro spirituale guida di una piccola comunità situata nei dintorni di un'isola dove l'uomo risiede.

Longuine con il proprio lavoro racconta una storia molto amara sul significato del peccato nel cristianesimo ortodosso e sulla possibilità della redenzione del singolo. Bisogna dire che la parola "Grekh" con cui in russo si indica il peccato è un termine molto più forte rispetto alla relativa forma italiana, spesso usata in espressioni quotidiana come "è davvero un peccato". Il "Grekh" è il peccato mortale, un'azione inconfessabile di cui si prova un'enorme vergogna e non suscettibile di perdono se non dopo un lungo periodo di espiazione. Anatolij nonostante il suo crimine commesso in tempo di guerra, o forse proprio a causa del peso del suo peccato guadagna la fama di uomo santo, da cui andare in pellegrinaggio per chiedere consiglio, e che è in grado di praticare l'esorcismo dei demoni.

Ostrov è un film difficile ed impegnativo per lo spettatore, proprio perché richiede qualche conoscenza specifica, come ad esempio la preghiera del cuore, una formula da ripetere incessantemente tanto da essere paragonabile a certe formule di misticismo orientale da cui probabilmente trae origine. Tale formula è "Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore". Bisogna dire che vi sono momenti anche curiosi, ad esempio nei rapporti che Anatolij instaura con altri uomini di chiesa. Longuine tuttavia non nega la redenzione, anche se essa può essere ottenuta solo ad un prezzo estremamente alto.

La frase: "Molti peccati si annidano nelle tomaie degli stivali dei vescovi".

Mauro Corso

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