Titolo film: |
Le donne del 6° piano |
Opinioni presenti: |
13 |
Media Voto: |
7.5 -  |
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Attenzione: nei testi delle seguenti opinioni, potresti trovare parti rivelatorie del film.
Il parere di olga, 65 anni, perugia (PG)
un film per divertirsi e per pensare |
Voto 8 di 10  |
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Simpatica e leggera come solo le commedie francesi sanno essere, ma non priva di "messaggi" impegnativi, ecco l’ultima pellicola in arrivo nelle nostre sale. Un film piacevole, un po’ favoletta, un po’ intelligente, che guarda a ieri per indicare oggi, va preso proprio come un brindisi con le bollicine. Siamo a Parigi, anni ’60, in un condominio di quelli solidamente borghesi, un po’ vecchiotti e pesanti, con alto sottotetto dove in stanze piccole e fredde, con servizi igienici a dir poco luridi, abitavano in genere le cameriere che servivano le famiglie alloggiate negli appartamenti sottostanti. Lo spazio quindi (un sotto e un sopra) come metafora di una visione di classe ancora abbastanza rigida e che mi ha richiamato alla mente Gosford Park di Altman (2000), pur con luoghi tempi e genere di film diversi. Nel lavoro di Le Guay l’inizio è dato dalla partenza di una bonne costretta a lasciare dopo 30 anni di dedizione la famiglia Jobert e dall’arrivo al suo posto di una spagnola, che abita con un gruppo di compagne, emigrate come lei, nel sottotetto. La giovane è arrivata da poco da Burgos ed è dolce, carina, piena di vita e si capisce subito che desterà l’interesse, prima umano e poi sentimentale, di Jean Louis, il padrone di casa. L’uomo è esperto di finanze, ricco, abitudinario, con vita appiattita sui rituali quotidiani, che condivide con la moglie Suzanne, padrona di casa freddina, senza più slanci, preoccupata di mantenere legato quell’uomo che le garantisce benessere e noia. Interessato alla domestica, Jean Louis entra in relazione tramite lei con quel mondo diverso, vitale, pieno di problemi e progetti che popola il suo sottotetto. Così comincia a capire nel quotidiano cosa pensano altri diversi da lui e come vivono. Una Spagna in cui c’è ancora Franco e una Francia impregnata di gallismo. Trattandosi di buoni sentimenti, c’era il pericolo di banalizzare, ma l’ostacolo è aggirato con garbo e professionalità. Ciò è merito del regista ma deriva anche dall’avere a che fare con Fabrice Luchini con sguardo e viso mobilissimo nell’espressione, Carmen Maura (una delle prime muse di Almodovar) che però è ancora più brava nella maturità, Sandrina Kiberlain (nel ruolo della padrona) che con i suoi studiatissimi completini, efelidi e collo lungo sembra uscita da un quadro di Modì. Del resto anche i comprimari sono un bel “coro franco-spagnolo”, perfettamente nel ruolo. Alla fine, tra la calda umanità iberica e l’aria altezzosa francese, Jean Louis affronterà una vera metamorfosi di se stesso, lasciandosi conquistare dalle grazie di Maria (Natalie Verbeke). Questo gioiellino di satira e ironia racconta i sentimenti con tenerezza senza strafare e proponendo bei pensieri sui quali riflettere.
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Questa opinione è stata scritta da:
olga
65 anni
perugia (PG). |
(20 Giugno 2011) |
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