All’inferno e ritorno: è questa la parabola di Olga, giovane signora della Torino della buona borghesia, due figli, un marito ingegnere, una vita apparentemente tranquilla e senza scosse. Sennonché qualche segnale di stonatura è evidente fin dall’inizio, il marito, Mario, si sente soffocare, letteralmente, è strozzato da quel ménage che improvvisamente gli prospetta un vuoto di senso: dice proprio così, e ad Olga sembra che il mondo crolli, le sue sicurezze si infrangono sulla triste realtà di un marito che la abbandona per una donna molto più giovane. Olga precipita da quel momento in un gorgo senza fine di disperazione, né i figli, né il conforto degli amici riescono a risollevarla. Deve assaporare fino in fondo l’amaro calice dell’abbandono, prima di ricominciare a “vedere” il mondo intorno, e non prima di avere sconfitto i fantasmi del passato che ritornano, come un monito, a ricordarle la tragica fine della “poveretta”, una donna la cui storia la madre le aveva narrato durante l’infanzia, una storia di abbandono con suicidio finale. Olga ritrova la via della salvezza anche attraverso la riscoperta dell’amore, incarnato in un vicino di casa musicista, da sempre innamorato di lei. “Una donna senza amore è come una pianta senz’acqua” è la frase chiave del bel film di Faenza, che si regge essenzialmente su una grande interpretazione di Margherita Buy (tra parentesi, sarebbe stata meritoria la premiazione a Venezia al posto di Giovanna Mezzogiorno, brava anche lei ma certamente alleggerita della fatica di essere pressoché presente sulla scena dall’inizio alla fine del film, come succede invece alla Buy). Se il personaggio di Olga funziona nella sua drammaticità, nella sua sorprendente scurrilità, è anche perché lo sparring partner è uno Zingaretti perfetto nella sua meschinità e vigliaccheria, aduso a fuggire davanti alle contumelie della moglie senza dare spiegazioni, anzi quasi facendo intendere che la colpa dello sfilacciamento del rapporto è solo di lei; ma poi, in una bellissima scena rivelatrice, ammette che l’amore per lei è finito senza un perché, e ciò non può essere una colpa: Olga è costretta ad acconsentire. Spaccato reale di situazioni sempre più frequenti, il film è solo lievemente appesantito da certi simbolismi che caricano l’atmosfera di toni plumbei, in una Torino severa e ben fotografata nella sua austerità aristocratica. Non mancano qua e là gli spunti tragicomici (la scena della telefonata ad un call center per riparare il telefono), e il film si chiude su note lievi, vagamente oniriche, la comparsa del musicista sottolinea che lo spartito della vita, per Olga, può riprendere la sua partitura armoniosa.
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