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Titolo film:    Dopo Mezzanotte
Opinioni presenti:    76
Media Voto:    7 - Media Voto: 7


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Il parere di Olga, 50 anni, Perugia (PG)
Al museo del cinema
Voto 8 di 10 Voto 8di 10
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Esiste un "luogo" dove finzione e realtà, tecnica e arte, nuovo e antico, si mescolano inestricabilmente, si fondono e si distinguono, proprio come nella vita: esso è il cinema. Ed esiste poi un luogo fisico, in una città d'Italia, dove è conservata memoria ricchissima di documenti di ogni tipo di quest'arte recente, "invenzione senza futuro" (!) secondo i fratelli Lumière. Si tratta di uno strano museo - non museo, posto in un contenitore che a suo tempo fu anch'esso una sfida tra concretezza e immaginazione: la Mole Antonelliana a Torino. Attorno a questi due poli ruota l'ultimo film di Davide Ferrario, atto d'amore appassionato verso il cinema, ma condotto con leggerezza e discrezione, tipico di un amante attento e non invadente. In uno dei personaggi principali certo il regista si è riconosciuto e rappresentato, affidando il messaggio più che alle parole (pochissime sono le battute di dialogo dell'interprete) a una delicata simbiosi di Martino col luogo nel quale lavora e in cui si è trasferito anima e corpo. Va però detto che il film è anche altra specie d'amore, ad esempio quello che lega i quattro ragazzi protagonisti o quello per Torino, della quale si coglie l'essenza, con spazi solenni e particolari o buie e stranianti periferie, quasi un personaggio aggiunto ai principali. Dal punto di vista del linguaggio Ferrario sceglie un ritmo alternante e sincopato, ora lento ora accelerato, ad imitazione dei tempi del cinema muto, di cui frequenti sono le citazioni. La fotografia spesso chiaroscurata è essenziale, i colori sfumano dal blu al grigio, riscaldandosi d'intimità negli interni del museo antonelliano. Ritorna. come in "Tutti giù per terra" del 1997, la voce fuori campo (Silvio Orlando) nonché l'attenzione e cura verso i personaggi minori. Tutta in digitale, l'opera è ricchissima in reminiscenze, da quelle funzionali all'intreccio come i brani da Buster Keaton e da G. Pastrone a quelle, meno evidenti, da Moretti e Benigni. La storia è leggera senza essere superficiale, perché l'autore riesce a fondere note drammatiche, ironiche, generazionali, sperimentali con mano abile e divertita, senza premere eccessivamente su nessun elemento dell'insieme. In questa operazione Ferrario è stato coadiuvato da una troupe di giovane attori non soggetti ad usura e a loro agio nel ruolo, nonché dallo scenario insolito (il museo), cuore del racconto con le sue pareti mobili, l'archivio, le scale, gli angoli bui, la cuspide da cui si domina la città. In tale piccolo mondo a parte si muove Martino, un taciturno e sensibile Giorgio Pasotti, il quale è il custode notturno del museo. Egli ne approfita per proiettarsi ogni notte spezzoni di vecchi film, identificandosi coi personaggi, vivendo altre dimensioni e dando realtà alle sue immaginazioni e ai suoi sentimenti più nascosti. Una sera Amanda (Francesca Inaudi), giovane commessa in un fast-food si rifugia nella Mole per sfuggire alla polzia che la ricerca e da qui inizia la "dolce" storia.

Questa opinione è stata scritta da:
Olga
50 anni
Perugia (PG).
(12 Maggio 2004)






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