Ivan Cotroneo, da scrittore a sceneggiatore a regista. Quasi a poeta. Perché il film tratto dal suo romanzo omonimo è di una leggerezza, quasi svagatezza poetica, talvolta di difficile interpretazione.
Nel panorama del cinema italiano in cui naufragano cinepanettoni e commediole mediocri, questa vera commedia (vera nel senso di genuina), questa piccola opera prima arriva con una certa freschezza. Cotroneo accompagna lo spettatore in un romanzo di formazione in cui la trama non conta niente: contano quasi solo i personaggi e sono personaggi a metà strada fra il neorealismo e la poesia fiabesca. Nessuno di loro sfiora mai l'archetipo perché tutti, benché delicatamente rappresentati con poche pennellate di colore, evolvono durante la narrazione in qualcosa d'altro.
E una linea rossa li lega l'uno all'altro: un bambino con un amico immaginario, un cugino pazzo che si veste da supereroe e che racconta la diversità non come un pericolo ma come virtuosità.
C'è un po' del solito buonismo di fondo del nostro cinema ma almeno stavolta è ben circonstanziato da un'aura fiabesca che lo può anche sopportare.
Così come si sopportano ingenuità di stile, certi passaggi letterari, soprattutto alla luce della forza di momenti di buon cinema, momenti in cui non c'è nulla di urlato ma si sorride cullati dalla musica e dalla visione liberatoria di un film che non esalta ma coinvolge con buoni spunti e idee, senza strafare nel bene e nel male.
Un film che non annoia, che ha rispetto per i suoi personaggi, tutti, e che concede se non una riflessione sul periodo in esame almeno una piccola riflessione sul potere del cambiamento.
Se ne vorrebbero vedere di più di opere così, ma anche in questo caso resta un margine di miglioramento nel quale si poteva mettere ancor più coraggio, ancor più profondità e spessore.
Il film, così come il Superman napoletano, spicca bene il volo ma vola basso. Meritava un orizzonte più ampio.