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Una sconfinata giovinezza

Opinioni presenti: 11
Media Voto: Media Voto: 5.5 (5.5/10)

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Un atto d'amore dovuto

(7/10) Voto 7di 10

Chi non ha vissuto in casa l'esperienza di un genitore afflitto da questa malattia, non puo' capire questo film.... e' una storia nata con delicatezza e con altrettanta delicatezza si evolve verso un finale....drammatico, si'.... ma non triste.... non ti lascia l'amaro in bocca... infatti lo spettatore commosso, esce dalla sala cinematografica con una grande sensazione di serenita' e speranza !!! quando in famiglia c'e' un malato "terminale"..... si vive la malattia in simbiosi con lui, fino alla fine..... alcune volte si cade in depressione, altre volte si vive alla giornata, con delicata rassegnazione . la neri sembra algida perche' non vuole farsi vincere dal dolore ma vuole sostenere il suo ruolo di donna forte, fino alla fine... il fratello - un superbo, affascinante lino capolicchio, uomo dai mille volti e dalle mille espressioni - come la sorella, e' gelido nell'analizzare il decorso della malattia..... ma, pur stando vicino al malato, cerca di salvare la fragile personalita' della sorella chicca, sottoposta ancora una volta a una nuova dura prova della vita, che non le ha regalato la gioia di un figlio .... il malato..... nell'inconsapevolezza, torna verso la sua sconfinata infazia e divide questo maeraviglioso mondo con la sua amata...che ora e' madre, ora e' sorella, ora e' moglie. un film ottimo, sconfinatamente dolce e vero, dalle sconfinate sfaccettature!!!!



ANNA, 57 anni, NAPOLI (NA).




Film del tutto deludente

(2/10) Voto 2di 10

Mi sento del tutto d'accordo con il commento di Giulia, e confermo che questo è uno dei film peggiori che io abbia visto (faccio osservare che sono una che sceglie i film sulla base dei giudizi di critica, di amici qualificati e di rubriche specializzate, dal momento che non riesco spesso ad andare al cinema). Motivazioni: sicuramente tutti i difetti elencati in altre due recensioni qui riportate, come la lentezza, la debolezza della trama, le situazioni inverosimili, mal congegnate e mal recitate (alle penose scene da telenovela della riunione di famiglia e dell'ospedale aggiungo quella della cena di saluto del protagonista in cui le reazioni dei presenti alle prime imbarazzanti parole del suo discorso sono assurdamente esaperate e direi anche fuori dalla realtà), la superficialità estrema nel trattare la malattia, l'inesistenza di dialoghi significativi. A tutti questi difetti aggiungo il fatto che i personaggi risultano quasi totalmente inespressivi, ci sono elementi inutili (come la serata fallita della protagonista alla conferenza con il collega, episodio appena accennato e che si capisce poco) e ci sono pochissimi momenti nel film che comunicano emozioni e sentimenti, il tutto resta al di fuori dello spettatore e genera solo noia, una sconfinata noia.



Silvia, 55 anni, Brescia (BS).




Coraggioso e poetico

(10/10) Voto 10di 10

Affrontare in un film il tema dell'Alzhaimer è una scelta coraggiosa e non comune. Pupi Avati lo fa calando l'argomento in una storia d'amore, e lo fa con sobrietà e delicatezza. Non capisco le accuse di scivolamenti sentimentali. La storia si dipana con equilibrio e credibilità, interessanti il contrasto tra il livello alto borghese della famiglia di lei e l'umiltà delle origini di lui. Straordinario il rapporto tra la modernità della vita attuale e l'autenticità di un'infanzia non facile, infanzia che ritorna con nostalgia irresistibile nella fase di peggiorameto della malattia. In questo contrasto si inserisce il tratto poetico del film. Ottimi gli interpreti, superlativo come al solito Bentivogli, brava la Neri e Cavina. Sorprendente Serena Grandi che ritrova nella maturità un'autenticità da tempo smarrita che ce la restituisce come attrice spendibile per ruoli meno banali.



Giovanni, 52 anni, Mesagne (BR).




"Una sconfinata giovinezza" ... quando il cerchio della vita che si chiude !

(6/10) Voto 6di 10

Lino Settembre (Fabrizio Bentivoglio) e sua moglie Chicca (Francesca Neri), una coppia borghese di mezza età, vivono nella piena serenità a Roma, due persone soddisfatte dal proprio lavoro, Lui affermato giornalista sportivo al Messaggero, e Lei insegnante universitaria di filologia medioevale. La vita biologica non ha loro dato la possibilità di avere dei figli, ma, come spesso accade, gli ha regalato una condizione che riesce a dare ancor più compattezza alla loro convivenza. A sconvolgere la vita dei due coniugi, è l’inaspettato malessere di Lino, che accusa buchi di memoria, condizione imperdonabile per un giornalista che partecipa anche a dirette televisive. Le preoccupazioni di Chicca, che sia qualcosa di più grave che semplici episodi dovuti allo stress, una patologia, trovano conferma, dopo aver sottoposto con uno stratagemma suo marito ad una visita medica specialistica. Lo stato degenerativo di Lino arriva ad intaccare la sua quotidianità, una condizione difficile da accettare, anche per Chicca che non gradisce l’idea di allontanarsi dal marito. Lentamente ma inesorabile arriva la regressione mentale di Lino che lo riporterà verso la sua adolescenza. L’infanzia come unica memoria che rimane salda nella mente, piedistallo indistruttibile che sorregge un castello di sabbia che si sgretola e cede lentamente al vento cattivo dell’inverno, è un segreto della vita che affascina e fa riflettere. Ma il film, di P. Avati, non riesce ad avere la stessa incidenza sentimentale della storia, che come in ogni film si raccoglie alla fine, quando le luci della sala si accendono inesorabili e fanno svanire le atmosfere respirate durante la proiezione, lo stesso effetto lo si avverte anticipatamente, già quando il film si accinge ad arrivare verso il finale. Se pur con un inizio impeccabile, che da corpo a questa immensa storia d’amore, l’interpretazione di Francesca Neri, ben diretta per tutto il film, si fredda nel ruolo, come anche la sceneggiatura che strozza il finale, a volte sembra avere dei buchi emotivi, tra i tanti personaggi della famiglia alto borghese di Chiccha, arrivando a dare un cinismo più indotto dalle scelte di partitura, che dal ruolo interpretativo che si vuol descrivere. Ma la poesia di P. Avati arriva, le immagini dell’infanzia Lino sono da libro Cuore. Divisionismo cinematografico, per le scene di Lino bambino, tra i campi e le case rurali della provincia emiliana, aiutate dalle musiche strazianti e da una fotografia. Nell’insieme sono poesia di immagini del ricordo, il tema della nostalgia di Pupi Avati è da sempre il suo stile più naturale nel descrivere l’onestà e la semplicità dei sentimenti di provincia, più difficile riportarli nei personaggi delle grandi città, dove l’arredo urbano non aiuta a scolpire le stesse emozioni. Una sconfinata giovinezza è il giusto titolo per questo film, uno sconfinamento dovuto alla malattia, ma un’occasione per rivivere e richiudere il cerchio della propria esistenza.



Pietro, 47 anni, Muratori (RM).




Accettabile

(7/10) Voto 7di 10

Beh, non sara' un filmone di quelli che restano impressi, ma, a parte il mio "debole" per i film di Pupi Avati, non ho trovato questo film cosi' orrendo e noioso come viene descritto nelle prime recensioni in questa scheda. E' sicuramente un po lento, ma del resto il tema narrato non poteva certo essere rappresentato con chissa' quale vivacita'. Gli attori svolgono la loro parte dignitosamente, senza infamia e senza lode. Si poteva fare meglio ? Probabilmente si, ma resta comunque un film che puo emozionare, e che tutto sommato vale la pena di essere visto.



Pier, 43 anni, Senigallia (AN).





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