Nina
Fuksas torna alla ribalta e probabilmente darà adito ad un'altra discussione circa le sue capacità artistiche-visionarie; stavolta però, protagonista del nuovo dibattito, oggetto di critiche e lodi, non è Massimiliano, architetto e autore di edifici in tutto il mondo, ma sua figlia Elisa che già da più di cinque anni si dedica al cinema e gira adesso il suo primo lungometraggio, Nina.
Il film presenta una storia sfumata di una ragazza dispersa durante l’estate nel quartiere dell'EUR di Roma, dispersa nel suo presente, nelle relazioni, e sospesa nella sua giovinezza che non riesce a distaccarsi dall'infanzia e farsi capacità di scegliere. La trama, accennata sulla pellicola con piccole macchie di narrato che si intravedono tra le inquadrature e i radi dialoghi, è veramente molto labile e la sostanza dell'opera viene affidata quasi interamente alle immagini che attirano fortemente l’attenzione per la loro originalità e il loro peso. Fuksas si esibisce in virtuosismi registici, molte eco e qualche citazione, e muove la sua macchina da presa con l'egocentrismo da cui spesso vengono ingannati gli esordienti: simmetria cercata allo spasimo, profondità di campo onnipresente, sequenze oniriche commentate dalla classicità di Mozart e di9 Bach.
Di per sé, ognuno di questi aspetti è meraviglioso, ma manca alla regia anche la capacità, per l’appunto, di armonizzare e dirigere tutti gli elementi variopinti che crea. Sulla vacuità della trama pesa molto la mania di protagonismo della regia, che spesso si concentra troppo di come inquadrare piuttosto che di cosa e distrae dalle azioni di Diane Fleri, su cui pesa gran parte del peso del film. La protagonista, infatti, è, come suggerisce il titolo, onnipresente nella storia e, vedendosi privata di molti dialoghi, deve dare il meglio di sé nella recitazione, esibendo soprattutto l'espressività e la mimica facciale, impresa ardua anche per i più grandi interpreti. L'attrice dà del suo meglio, ma spesso finisce per forzare troppo la carica e la gestualità o, al contrario, di eroderla eccessivamente e di rimanere sullo schermo semplicemente come... Diane Fleri. Forse è stato troppo complesso questo ruolo per lei che, nonostante ciò, impressiona per la forza con cui ha affrontato questo compito ingrato. La regista pecca di superbia, per la modesta opinione di chi scrive, e dimentica la regola della semplicità che fa la fortuna di tanti film, i quali, non potendo rientrare nella categoria dei capolavori, rimangono degli ottimi esempi di cosa può offrire il cinema senza ricorrere ai suoi più smodati vezzi. I capolavori lasciamoli a qualcun altro.
La frase:
"Pesci. Mare. Spiaggia. Bianca. Colonna. Portico. Maratoneta. Maratoneta?".
a cura di Matteo Brufatto
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