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Nebraska







Alexander Payne per la prima volta dirige un film senza aver quantomeno contribuito alla sua sceneggiatura. Strano per un cineasta già vincitore di due premi Oscar proprio in quanto sceneggiatore (“Sideways” e “Paradiso Amaro”, ma non solo, è stato candidato anche per “Election”), strano soprattutto perché “Nebraska” ricorda tutto il suo cinema. Prima di tutto si tratta di un film on the road costellato di incontri capaci di rivelare continuamente nuovi aspetti della vita passata del protagonista (il viaggio alla fine è quello che si fa nel passato, non nei luoghi), in secondo luogo perché il punto di forza del tutto sono i riuscitissimi dialoghi, scambi di battute sempre capaci di far sorridere, tenendo sullo sfondo quel pizzico di malinconia tipica del cinema indipendente americano da Sundance, anche se il film ha avuto la sua presentazione ufficiale al festival di Cannes.
Un ottantenne pensa di aver vinto un milione di dollari quando riceve una lettera prestampata che lo annuncia come vincitore di una speciale estrazione. E’ una trovata pubblicitaria di una casa editrice, ma lui ci crede ed intenzionato ad andare fino in Nebraska a ritirare il premio. Il figlio lo ama così tanto che, se da una parte prova a spiegargli che è tutto falso, dall’altra lo asseconda e decide di accompagnarlo anche perché il Nebraska è dove il papà è cresciuto, una buona occasione quindi per rincontrare vecchi parenti che però finiscono con il credere davvero che ci sia stata una vittoria milionaria e che per questo pretendono la loro parte...
Nebraska è il classico film che verrebbe voglia di definire “un gioiellino” se non fosse che di cose così se ne sono già viste molte, che da Payne ci si aspetta qualcosa di più e che quel bianco e nero scelto come confezione sa di operazione furbetta, una strizzatina rivolta a tutti quegli intellettuali che non potranno che amare un film low budget come questo, realizzato con un cast di facce nuove e seminuove su di una storia dolce e amara allo stesso tempo. Il gioco funziona, i cento minuti di pellicola corrono via fluidi tra situazioni paradossali e giuste, anche se convenzionali, considerazioni sulla vita, la famiglia e la possibilità, per ognuno di noi, di accontentarsi ed essere felici con quel poco che ci sta intorno.

La frase:
"Scopavamo, tua madre era cattolica, fatti i tuoi conti!".

a cura di Andrea D'Addio

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