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My Magic
A Singapore un uomo, ex mago e illusionista che un tempo, insieme alla moglie che ora non c’è più, era famoso e rispettato, trascorre le sue giornate nel tentativo, più o meno conscio, di autodistruggersi. Tra alcol e prove estreme della sua bravura di mago, l’uomo cerca anche di occuparsi del figlio di dieci anni, un ragazzino molto responsabile costretto, dall’assenza della figura paterna e di figure femminili che lo seguano, ad arrangiarsi quotidianamente la vita. Il padre lavora in un nightclub e, per provare a se stesso di essere ancora quello di un tempo, mostra al viscido gestore esempi raccapriccianti della sua abilità. Per aiutare il figlio e guadagnare più soldi, decide di offrirsi in spettacoli di "magia" sempre più estremi, fino a giungere al limite.
Un’ora e quindici minuti dura il film del regista di Singapore Eric Khoo, ma pare un’eternità, nei momenti in cui lo spettatore è quasi costretto dal regista a chiudere gli occhi, per non vedere le prove dolorose cui il protagonista sottopone il proprio corpo. Tutto per riacquistare rispetto da parte del figlio, ma anche di se stesso, come genitore non più "latitante".
Khoo, che ha girato il film quasi interamente in lingua tamil, spinge troppo sul pedale del raccapriccio, del sangue e dei pestaggi, lasciando poco spazio alla meravigliosa e struggente ricostruzione di un rapporto padre-figlio unico. I momenti in cui sullo schermo passano le scene che riguardano il figlio, il sensibile e bravo Jathishweran, e Francis Bosco, nella vita davvero noto mago e mangiatore di fuoco, che offre una prova intensissima, riscattano l’intera pellicola e il suo sostare con troppo compiacimento su immagini di abbruttimento e degrado personale. Nulla ci viene risparmiato, in questo film: la visione è consigliata solo a stomaci forti, che non si lasciano impressionare. La suggestione e la tenerezza nel rapporto tra padre e figlio cresce minuto dopo minuto, così come la meraviglia del ragazzino di fronte alle magie più innocue del padre.
Difficile rimanere indifferenti. Dopotutto la vita, sembra suggerirci il regista, anche quella più difficile e disperata, è sempre magia.
Bisogna saperla maneggiare con attenzione.
La frase:
- "Mia madre era una persona cattiva?"
- "No, non era cattiva: è il mondo che è crudele. Un giorno lo capirai".
Giulia Baldacci
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