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MonolithLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Rosanna Donato10 agosto 2017Voto: 6.5
“Monolith” è un film molto particolare perché fa della tecnologia e dell’espressività di Katrina Bowden, protagonista della storia, i suoi punti di forza. La vicenda racconta di Sandra, una donna in viaggio con il figlio David di due anni. Pensando che il marito la tradisca, la giovane decide di cambiare destinazione e raggiungere Los Angeles, dove l’uomo lavora. Durante il percorso, dopo aver disattivato le funzionalità della sua super tecnologica macchina, Monolith (costruita per proteggere i propri cari da qualsiasi minaccia), rimane chiusa fuori dalla sua auto con il figlio all’interno di essa che non riesce a liberarsi dalla cintura in quanto troppo piccolo. Intorno a loro il deserto, per miglia e miglia. Sandra deve liberare il suo bambino, ma non sarà semplice aprire quella corazza di acciaio. La donna farà di tutto per salvarlo, anche mettere a rischio la sua stessa vita.
Ivan Silvestrini è il regista di “Monolith”, il film che vede protagonisti assoluti Katrina Bowden e il piccolo Nixon Hodges. Innanzi tutto è bene dire che il soggetto su cui si erge la storia non è studiato a dovere, non solo perché la sceneggiatura è a dir poco ridicola e banale, piena di frasi fatte e prive di spessore, ma anche perché l’idea di fondo - seppur innovativa sotto certi punti di vista che vedremo dopo - non viene sfruttata a dovere. Dovrebbe essere un thriller drammatico, ma del genere - se non l’intensa drammaticità di alcuni momenti - si vede ben poco. Per intenderci, si tende a dare poco spazio alle scene più salienti, quelle che dovrebbero incutere paura e mettere tensione, privilegiando invece il lato umano del racconto: una madre disperata per la molto probabile perdita di suo figlio. È questo il tema di fondo, uno dei pochi elementi affrontati adeguatamente dal regista, il quale fa grande uso di primi piani incisivi e campi completi per rendere al meglio l’intensità del momento e lo stato d’animo di Sandra. È interessante notare come la tecnologia possa prendere il sopravvento e diventare una minaccia per la vita delle persone. In questo caso, però, il regista ha volutamente esagerato nell’esprimere il suddetto concetto. Probabilmente per farci riflettere su quello che ormai sembra essere divenuto un dato di fatto: l’innovazione sta influenzando le nostre vite, allontanandoci da quelle che dovrebbero essere le priorità. Bisogna mettere in chiaro però che questo argomento viene solo ‘richiamato’ e mai approfondito. Molto suggestiva è la colonna sonora, non solo per la sua capacità di esprimere indirettamente le emozioni provate dalla protagonista, ma anche per il modo in cui la viene usata: si assiste ad un crescendo del volume, tanto da mettere in secondo piano tutti gli altri aspetti della trama (compresi gli attori), nei momenti più problematici. Se da una parte Katrina Bowden ha dato grande prova di sé nelle scene di forte impatto emotivo, riuscendo a convivere il pubblico e a permettergli di mettersi nei suoi panni, dall’altra l’attrice è risultata meno credibile nelle parti dove sono presenti dei dialoghi (pochi). Questo, probabilmente, è dovuto più alla poca solidità della sceneggiatura e alle scelte registiche di Ivan Silvestrini che alle reali capacità dell’attrice, la quale talvolta appare finta. Il film presenta alcune dinamiche alquanto discutibili agli occhi degli spettatori, ma - allo stesso tempo - è in grado di coinvolgere emotivamente chi guarda. Infine, concludiamo dicendo che il ritmo è decisamente lento all’inizio, ma - man mano che la storia prende vita - l’andamento diventa sempre più incalzante. La frase dal film:
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