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L’Arte di Vincere











Michael Lewis ha pubblicato nel 2003 un libro sul baseball, allo scopo di far riflettere sulla situazione della Oakland A’s: una team sottovalutato e poco finanziato che si trova suo malgrado in un sistema ingiusto di squadre grandi e ricche. Il libro ci dimostra come, per rivoltare questa situazione, non servano giocatori super quotati e super pagati. Si deve solo dare la possibilità ad un gruppo di uomini messi ai margini di mostrare il loro potenziale.
È a questo libro che si ispira "L’arte di vincere", raccontando la storia dell’ex giocatore Billy Beane (Brad Pitt) che dopo una breve carriera sul campo, decide di rimanere nel baseball come manager.
Dirigere la Oakland A’s non è certo facile: a fine stagione perde i suoi elementi migliori, ma Billy non getta la spugna e cerca di cambiare il sistema che regolamenta la scelta dei giocatori. Seguendo le teorie statistiche contenute nel dimenticato testo di Bill James e con l’aiuto del giovane genio dei numeri Peter Brand (Jonah Hill), il manager capirà ben presto che non si devono comprare singoli talenti ma una squadra intera che porti alla vittoria.
Un film davvero ben fatto, la regia di Bennett Miller non tradisce la migliore tradizione classica ma riesce a tratti a superarne i limiti, regalandoci delle trovate davvero suggestive: divertenti soluzioni per allacciare le sequenze, inquadrature lunghe e riflessive, momenti di totale assenza di suono. Una pellicola dai colori spenti in cui domina una fotografia continuamente "in penombra"; sembra quasi che ogni scena sia stata girata in giornate plumbee. Una scelta cromatica in linea perfetta con lo stato d’animo del protagonista.
Molto bello il lavoro sui filmati sportivi d’epoca, dai primi del ‘900 ai primi del nuovo millennio: inizialmente ci vengono mostrati filmati originali CNN ma verso la fine del film, questi estratti sono in realtà il girato stesso, ovviamente secondo l’estetica dei filmati televisivi. Per pochi fotogrammi, materiale in pellicola e materiale televisivo si mescolano attraverso la consequenzialità del montaggio: le due realtà si fondono, quella realmente esistita e quella creata "in laboratorio".
La star delude un po’. Brad Pitt sembra non dare il massimo in questa sua interpretazione: forse è il personaggio a richiederlo, ma ha un atteggiamento impostato, sia nel successo sia nella difficoltà; spesso sembra un personaggio assente, che non riesce ad ancorarsi bene alle situazioni. Affiancato da attori davvero interessanti (soprattutto i talent scout suoi dipendenti), il bel Pitt in questo film non coinvolge molto il suo pubblico, come è riuscito a fare molte altre volte.
"L’arte di vincere" è un film molto tecnico, per appassionati e per competenti, dettagliato e interessante per chi conosce il baseball e ama seguirne le dinamiche. Il rovescio della medaglia è che, anche se c’è una linea (costituita dalla vita privata di Billy) più semplice da seguire, si tratta di un film impossibile da comprendere e da godere fino in fondo per chi di questo sport non sa nulla.
Insomma, ben fatto ed emozionante per gli esperti, troppo longevo e un po’ noioso per i profani.

La frase:
"Cavolo, come si fa a non essere romantici col baseball?".

a cura di Fabiola Fortuna

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