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Memorie di una geisha
Dopo il successo di "Chicago", Rob Marshall torna sul grande schermo con "Memorie di una Geisha" dramma tratto dal best steller omonimo di Arthur Golden e prodotto, tra gli altri, da Steven Spielberg.
Si racconta la storia della geisha Sayuri, rapita da bambina e costretta a lavorare come serva in una Okiya: la casa in cui vivono le geishe. Il suo spirito ribelle e il desiderio d'amore la porteranno a vivere intense emozioni e grandi dolori, in un periodo, gli anni '30, in cui l'esotico mondo fluttuante, straziato della guerra, cominciava a perdere le sue antiche tradizioni e ad aprirsi al mondo occidentale.
In questa sua ultima fatica Marshall si è attorniato di esperti e studiosi della cultura giapponese, infatti le scenografie e i costumi, come pure le musiche risultano essere accurate ricostruzioni del recente passato nipponico, anche il cast è eccellente, formato per lo più da star internazionali come Ken Watanabe, Michelle Yeoh e Ziyi Zhang (viste entrambe ne "La tigre e il dragone") e la ormai celebre e pluripremiata Gong Li che interpreta magistralmente la geisha Hatsumomo, rivale di Sayuri, triste e rabbiosa schiava delle convenzioni.
Questo film racchiude due temi fondamentali: l'arte e la tradizione delle geishe e il desiderio di vivere un amore impossibile della protagonista.
Il film di Marshall per una serie di superficiali analogie riporta alla memoria due indimenticabili film precedenti: "Addio mia concubina" e "Lanterne rosse".
Al primo si collega per l'ambientazione: gli attori dell'Opera cinese e del teatro Kabuki, come le geishe, erano costretti ad un durissimo apprendistato e ad una certa condotta, le loro figure erano strettamente legate alle più antiche tradizioni orientali e avevano una grandissima popolarità che spesso li portava in baratri di perdizione o solitudine.
Richiama invece "Lanterne rosse" per il tema della donna costretta in un ruolo, che si affida a mezzucci e "intrighi di corte" per cavarsela meno peggio delle altre.
Purtroppo "Memorie di una geisha" risulta essere una rielaborazione edulcorata e occidentalizzata di alcuni elementi dei film appena citati, a cui attinge ampiamente anche per iconografia e scelta degli attori (Gong Li è presente in tutti e tre i film). Tutto il pathos, il rigore, la spiritualità, i simbolismi di cui sono intrisi questi due film si perdono in un melodrammone di oltre due ore: non si ha appieno il senso dell'antica cultura giapponese, né del reale travaglio interiore dei personaggi probabilmente perché le scelte registiche sono tipicamente americane, ogni elemento del film è al servizio della storia, tutto teso a far immedesimare ed emozionare lo spettatore, inoltre la sceneggiatura (anche se per ovvi motivi di lunghezza) nella seconda parte tende a sintetizzare una serie di eventi, come la guerra e lo svilimento di secolari tradizioni, trattandoli in maniera veloce ed approssimativa.
Sarà proprio questo mix di amore, gelosia, intrighi, il finto esotismo e il consolatorio lieto fine a far amare al pubblico più romantico "Memorie di una geisha", come è successo per film come "L'ultimo samurai", "La tigre e il dragone" e i film fotocopia che lo seguirono in cui c'è l'occidentalizzazione (e forse banalizzazione) di forma e contenuto di una cultura molto diversa dalla nostra e complessa da capire.
La frase: "Non diventiamo geishe per perseguire il nostro destino, diventiamo geishe perché non abbiamo altra scelta!".
Ilaria Ferri
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