Magic Valley
"Mi piace pensare al mio film come una fetta di vita 'prequel' del capolavoro di Emmerich '2012'" dichiara Jaffe Zinn a proposito del suo lungometraggio d’esordio, riflessione su celluloide su come qualsiasi giornata, anche quella apparentemente più banale, possa riservare eventi capaci di cambiare una vita intera.
Riflessione su celluloide ambientata nella tranquilla cittadina di Buhl, nell’Idaho, dove un allevatore di pesce trova i suoi animali avvelenati da un vicino egoista, lo sceriffo trascura i suoi doveri e usa l’auto di servizio per scopi personali, due bambini scelgono uno strano gioco nella campagna e lo studente di scuola superiore TJ Waggs, con le fattezze del Kyle Gallner protagonista del "Nightmare" 2010, porta sulle spalle il peso di un terribile segreto dopo una festa selvaggia.
Quindi, niente distruttivi terremoti e catastrofi naturali nello stile del citato autore di "Independence day" (1996), ma una produzione indipendente che ricorda in parte il candidato all’Oscar "Un gelido inverno" (2010) di Debra Granik, in parte (e soprattutto) il Gus Van Sant di "Paranoid park" (2007).
Produzione indipendente che, mentre sfoggia un veterano Scott Glenn grottescamente in fissa per il telefilm "Walker Texas Ranger", sembra individuare il suo maggiore pregio nell’affascinante ambientazione da horror rurale, immersa nei campi illuminati dal sole e la cui apparente quiete viene disturbata in maniera quasi esclusiva dai corvi gracchianti proto-presagio di morte.
Un’ambientazione che finisce, però, soltanto per fare da sfondo a una vicenda drammatica che, nonostante la breve durata (siamo sull’ora e venti circa) e alcune interessanti scelte registiche, appare noiosa e non riesce più di tanto a coinvolgere nella visione lo spettatore, il quale dovrebbe interessarsi al segreto di cui sopra che viene progressivamente svelato, tra indizi e lentissima tensione.
Ma la domanda sorge spontanea: per quale motivo dovrebbe scattare la molla della curiosità nei confronti di un racconto – con ogni probabilità improntato maggiormente sulla metafora – di cui, fin dall’inizio, sappiamo praticamente tutto?
La frase:
- "Cosa è successo?"
- "Era mia figlia, sua figlia è scomparsa".
a cura di Francesco Lomuscio
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