Machan - La vera storia di una falsa squadra
Dopo essere stato il produttore del film campione d’incassi "Full Monty", il regista Uberto Pasolini fa parlare di sé al Festival di Venezia richiamando l’attenzione del pubblico con lunghe code alle sale. L’esordiente regista, nipote del grande Luchino Visconti, porta sul grande schermo una simpatica commedia basata su una storia vera: "Machan", presentata nelle "Giornate degli Autori" di Venezia. Sebbene sia una versione romanzata di un fatto di cronaca tedesca vi è una sostanziale veridicità che quattro anni fa è apparsa sulle pagine dei giornali italiani. L’opera è finanziata da diversi paesi come: Regno Unito (Redwave Films), Italia (Rai Cinema, StudioUrania), Germania (Babelsberg Film) e Sri Lanka (Shakthi Films) ed è prodotto da Prasanna Vithanage, Conchita Airolda e dallo stesso regista. Il film non ha grandi pretese, ma è una miscela esplosiva di allegria e uno spaccato su una realtà troppo spesso dimenticata, stupisce il fatto che il budget del film sia di soli 2 milioni di euro, nonostante la complessità della storia. "Machan" è un misto di umorismo e dramma, la povertà e la miseria della gente dello Sri Lanka, che si arrabatta come può e il loro desiderio di avere una vita migliore sono descritte con molta dignità e simpatia. La pellicola è parlata metà in cingalese e metà in inglese e vede come protagonisti attori non professionisti, eccetto il riconoscibilissimo Mahendra Perera. "Machan", che significa "amico", descrive il mondo e la vita delle baraccopoli di Colombo, la sporcizia, i debiti e la necessità di dover emigrare altrove e abbandonare la propria famiglia per trovare un lavoro migliore. Madri e padri che sono costretti a lasciare i loro figli e i loro cari alla ricerca di lavoro e soldi da spedire ai loro congiunti, fanno perfino debiti pur di poter pagare il viaggio o trovare il modo per fuggire in cerca dell’opulenza occidentale. Non c’è disperazione nelle sequenze delle baraccopoli, ma una leggera malinconia ed allegria, forse legata allo spirito connaturato a quel popolo. Tutto è accompagnato dalla musica, che risulta essere non invasiva, ma sembra far parte di quel mondo con la capacità di sottolineare gli stati d’animo e confondersi con i suoni comuni della città. I protagonisti sono Manoj, un barman, e Stanley, venditore di arance che provano di tutto pur di avere il visto per poter partire, ma falliscono sempre finché un giorno non decidono di creare una squadra di pallamano nazionale per partecipare al torneo in Baviera. Ma cos’è la pallamano? Nessuno lo sa, ma questi uomini non demordono e si impegnano a cercare di superare le diverse difficoltà, animati dal desiderio e dalla necessità. Ognuno di loro ha una sua storia che il regista ha cercato di scoprire andando sul campo e intervistando le persone che li conoscevano e i familiari, dato che nessuno sa dove siano in questo momento. E’ predominante il tema della clandestinità, quel fenomeno visto da molti come una minaccia e forse affrontato in modo sbagliato dalle varie nazioni occidentali. Nessuno sembra comprendere che per loro partire è una necessità, ma se potessero resterebbero con la loro famiglia piuttosto che raggiungere l’Occidente e non essere nessuno, non avere un’identità, perché essendo clandestini non sono più le persone che erano nel loro paese.
Sono un nulla, persone anonime che cercano un lavoro e un colpo di fortuna, ma non è detto che vi riusciranno. Il ritmo della pellicola è altalenante, parte molto lentamente per poi animarsi e restare costante. "Machan" riesce a catturare la disperazione dei personaggi, la vita e la miseria, affrontando il tutto con uno sguardo diverso legato al sorriso, nella speranza che il pubblico uscendo dalla sala possa riflettere sulla tragicità della situazione.

La frase: "Con le donne italiane stai peggio. Picchiano i mariti".

Federica Di Bartolo

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