L'ultima estate
Un film che tocca corde già percorse da molte altre pellicole prima di questa, ma che ha una freschezza decisamente nuova, soprattutto per una pellicola hollywooddiana. La ragione di questa piacevole sorpresa è sicuramente da ricercare nelle modalità con cui è stata prodotta; la sceneggiatura dell'esordiente Pete Jones, infatti, è la vincitrice del concorso "Project Greenlight" della Miramax. L'iniziativa consentiva a chiunque di inviare via internet le proprie sceneggiature tra cui ne sarebbe stata scelta una per produrre non solo un film, ma anche un documentario sulla sua realizzazione. È stato quindi Jones il fortunato, o meglio talentuoso, prescelto con questa storia anni settanta a cavallo tra il racconto iniziatico, il conflitto social-religioso e la storia di stampo familiare.

Pete O' Malley (Adiel Stein) è l'ultimo di sei figli della tipica famiglia irlandese anni settanta. Padre pompiere (Aidan Quinn / L'incarico), madre casalinga (Bonnie Hunt / Jerry Maguire) e fratelli vari. La caratteristica principale di Pete è la curiosità, la voglia di porsi domande (cosa che troppo presto smettiamo di fare, accettando passivamente tutto ciò che ci accade intorno) ed il desiderio di cambiare il mondo. Per questo decide di intraprendere una missione: far guadagnare il paradiso a qualcuno, ovviamente qualcuno che non sia già cristiano, quindi il candidato ideale sarebbe un ebreo. Dopo svariati tentativi sotto gli occhi vigili, ma quasi paterni, del rabbino Jacobsen (Kevin Pollak / I soliti sospetti), Pete conosce Danny (Mike Weinberg) un suo coetaneo che non solo è di religione ebraica, ma è anche il figlio del rabbino. Danny è pronto ad affrontare le prove necessarie a guadagnarsi il paradiso, anche se questo non è esattamente in linea con i precetti del suo credo.

L'aspetto più interessante della pellicola è il confronto tra le due religioni, sia attraverso gli occhi dei ragazzi, non ancora influenzati da preconcetti, sia attraverso quelli dei loro genitori. Sorprende sicuramente la mentalità aperta dei vari protagonisti, soprattutto in etnie che negli anni settanta sentivano ancora forti le loro radici trascinando una sorta di razzismo che li portava a guardarsi in cagnesco. Jones sfrutta il sentimentalismo, toccando corde che farebbero intenerire anche una statua di pietra, e assicurando così un massiccio incremento nel consumo di fazzoletti senza però scadere nel melenso. La scelta dei due giovani esordienti, supportati da "adulti" di spessore, garantisce una indiscutibile freschezza che non mancherà di essere apprezzata. Se proprio dobbiamo cercare il pelo nell'uovo, forse alcuni concetti della religione ebraica non vengono chiariti a sufficienza e restano alcuni lati oscuri, ma ammetto che l'influenza di una vita all'ombra del "cupolone" ha il suo peso.

Curiosità: l'attore che interpreta Pete, Adiel Stein, è figlio di un rabbino.

La chicca: benché ambientato nella metà degli anni settanta, lungo la strada, a volte, si vedono parcheggiate macchine e camion moderni.

La frase: "Dio ti da centosessantotto ore a settimana. L'unica cosa che devi fare è restituirgliene una. Ti sembra che chieda troppo?"

Indicazioni:
Per chi vuole emozionarsi, molto.

Valerio Salvi

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