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| Lord of war "Nel mondo ci sono 580.000.000 di armi, circa una ogni dodici persone. Il nostro compito è convincere le altre undici ad acquistare un'arma".
 
 Questa è la fredda logica a cui un mercante d'armi si attiene per andare avanti nel suo mestiere ed è l'incipit di questo film di Andrew Niccol: vita, morte e miracoli di un Signore della Guerra.
 Il mercante è Yuri Orlov, un immigrato ucraino catapultato nella disillusione del sogno americano di uno squallido sobborgo di Brooklin. Ma è pur sempre l'America, la Terra delle opportunità. Ed allora è facile, per chi è intraprendente e  con pochi scrupoli, passare da un sudicio ristorante di zuppa di cavoli ad una lussuosa hall di un albergo dove commerciare in bazooka è facile come vendere noccioline. Poi c'è il crollo del Muro e negli ex Paesi dell'Est c'è un mercato a cielo aperto di  carri armati ed elicotteri lancia missili. Si compra tutto a prezzi stracciati per poi rivendere a dittatori cannibali che ti pagano in diamanti. Solo così, d'altronde, puoi conquistare la donna della tua vita, quella che vedevi sulle patinate pagine di una rivista o su un luminoso cartellone dell'ennesimo aeroporto di cui ormai si è scordato il nome.
 La parabola di un mercante d'armi è come quella di un colpo di mortaio: arriva il momento in cui, dopo aver toccato il cielo, la discesa è rapida è incontrollabile e lo scoppio distrugge tutto e tutti, soprattutto quelli che ti stanno vicino e che ami di più.
 
 Ispirato ad una storia vera, il film di Niccol ("SimOne", l'ultima sua opera) rimane sospeso tra l'opera di denuncia e cronachistica e la commedia esistenziale di una vita vissuta al di sopra degli schemi della presunta normalità. L'esitazione, non risolta, tra i due registri mina l'opera rendendola in alcuni punti eccessivamente scanzonata ed in altri insopportabilmente drammatica, come nel caso dell'indugiare su particolari e dettagli particolarmente pietosi. Scelta stilistica che tramuta l'azione in didascalia e alla lunga rende la visione del film stucchevole facendo pensare ad una certa artificiosità dell'intento creativo dell'autore.
 
 Il cast è molto ben scelto. Nicolas Cage ha la necessaria forza drammatica per disegnare un personaggio la quale moralità è al di sotto del minimo sopportabile e la cui doppiezza è all'altezza solo del suo gretto realismo. La bella Bridget Moynahan ("Io, Robot") è la giusta figura di moglie inconsapevole (ma quanto inconsapevole?) dei loschi traffici del marito, Ethan Hawke la legittima misura di giustizia idealista posta a contrappeso dell'immoralità di Yuri. Ian Holm è invece un personaggio del quale dubitiamo l'esistenza nel mondo reale: un mercante di armi che si schiera per una compagine... è come se  un commerciante selezionasse i suoi clienti in base a qualche astruso criterio. Inconcepibile.
 
 La frase: "Non potranno mai confermare il mio arresto, visto che i principali venditori di armi nel mondo sono Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia e sono tutti e cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu".
 
 Daniele Sesti
 
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