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L'ora d'amore
Le difficoltà di mantenere viva una relazione sentimentale in prigione. Mauro, Fatima, Angelo testimoniano in proposito - come spiegano gli autori – "la paura, le insicurezze, il bisogno, la dipendenza, la speranza, il ricatto, l’attesa". Il primo ha una compagna che - insieme alla loro figlia piccola – per certi versi si trova anch’essa in una condizione di reclusione, fuori; la seconda si aggrappa alle lettere e ad una telefonata di 5 minuti a settimana, il terzo ricorre a sotterfugi, regali, scambi d’agende, segnali gestuali. .
Risultato di due anni di lavoro all’interno del carcere di Rebibbia, "l’ora d’amore" è scritto, prodotto e diretto da Andrea Appetito e Christian Carmosino. Entrambi hanno girato cortometraggi, Appetito è docente di filosofia e storia in un liceo, scrive libri e realizza performances, Carmosino organizza eventi cinematografici, è autore di documentari, insegna regia, sceneggiatura e lavora all’università, ha fondato un cineclub. Ai due era stato proposto, in Brasile, un progetto di film di analogo argomento (tra l’altro lì, in alcuni casi, ci sono le "stanze dell’amore" che garantiscono "privacy" agli incontri), e nel corso di coinvolgenti interviste ad ex-detenuti è venuta fuori l’idea di un documentario.
Il quale ha preso invece avvio in Italia, inizialmente centrato su detenuti politici. In seguito l’attenzione si è spostata sui "comuni" fino ad assumere la forma attuale, da cui però è stata esclusa una quarta storia - riguardante persone in semilibertà - a causa delle convenzioni del mondo esterno e quindi della necessità dei protagonisti di mantenere segreto il proprio "status". I registi prendono atto di un regime detentivo fondato sulla privazione, allargata alla sfera affettiva e sessuale quale pena aggiuntiva non connessa ai reati commessi. E, per sottolinearlo, riproducono sia il lento, snervante scorrere del tempo dell’attesa che la disumana meccanicità della burocrazia, ulteriore strumento di potere e controllo come nel caso della "domandina", simbolo di reclusi considerati dall’autorità alla stregua di bambini.
La frase: "E' routine, e non è bella. Non mi aspetto niente, lui non si aspetta niente. E’ brutto andare, è brutto tornare. Il tempo è proprio bloccato".
Federico Raponi
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