Lezione 21
L’anno scorso, alla Festa (ora Festival) del Cinema di Roma, l’attesa per "Silk – Seta", trasposizione del romanzo di Alessandro Baricco, era stata forte, ma il risultato della pellicola di Francois Girard non fu il medesimo, forse perché mancava la vera firma.
Lezione 21 invece, primo vero debutto dietro la macchina da presa dello scrittore, è un’opera dannatamente intensa e poetica.
Il punto di partenza del regista–scrittore è l’analisi della Nona di Beethoven, un’osservazione meticolosa, attenta, per certi versi "pasoliniana".
L’intenzione, ma soprattutto l’intuizione di Baricco, sono esegeticamente importanti.
Spiare le debolezze e "sgretolare" uno dei monumenti della storia della musica e della cultura appare illuminante, anche se il vero scopo, alla fine, sembra quella di onorarla ancora di più, riscoprendone la bellezza più vera.
La libertà con cui Baricco ci conduce in questa sorta di "viaggio di riflessione" è magico.
Un racconto, costruito attraverso un gioco di luci e colori, che ci rimandano alle palette cromatiche dei lavori di Greenaway, ma anche alla poesia figurativa di Kenneth Branagh.
Una pellicola, che in realtà sembra, in tutto e per tutto, una rappresentazione teatrale, improvvisata.
Ciò che colpisce non è solo la scelta del cast, da John Hurt, accattivante affabulatore – insegnante, fino a Noah Taylor (prodigioso in Shine, talentuoso per Malick e Burton), barbuto musicante–incantatore, ma anche l’ambientazione onirica, che per buona parte del film osserviamo.
Un paesaggio di montagna, ovattato, morbido, dove in una sorta di gioco, di disegno narrativo, prendono vita i personaggi, quasi a voler riempire un grande album di memoria.
I dialoghi manieristici, le inquadrature fotografiche di spessore, i costumi variopinti, che volutamente si contrappongono al candore e alla purezza dello scenario, si fanno amare e sono ingredienti eleganti.
Nonostante le atmosfere gelide e silenziose, ciò che si percepisce è invece un calore rassicurante, avvolgente, segno di una sensibilità registica (e non solo di scrittura), per nulla scontata.
Il Ludovico Van (come direbbe l’Alex di Arancia Meccanica) non appare mai (se non di spalle per qualche secondo), quasi a voler essere una figura eterea, (in)esistente, se ne disserta, ma come di una leggenda antica.
Un mondo (ir)reale quello assemblato da Alessandro Baricco, che è vero, a tratti può sembrare un pò eccessivo, ma forse anche per quello risulta essere davvero affascinante.
La frase: "La lezione iniziava con un lungo silenzio".
Andrea Giordano
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