L’Autre
Macchine sull’autostrada, aeroplani, luci, persone e una martellata che una donna si autoinfligge davanti ad uno specchio. Capire come sia arrivata a questo punto è la storia di “L’autre”, film francese dell’eclettico regista di teatro, cinema e tv, nonché estroso compositore di opere d’arte in argilla e altri materiali modellabili, e del fino a ieri solo scenografo Pierre Trividic. La base è il libro "L’occupation" di Annie Ernaux, un tortuoso romanzo sulla psiche di una donna in conflitto con sé stessa. Dalle parole alle immagini la storia non diventa meno criptica, anzi...
Sarà che il fatto di parlare di deviazione mentale ad alcuni "autori" sembra una ragione valida e sufficiente per poter mischiare vita reale e allucinazioni senza soluzione di continuità, quasi presupponendo che chi non sappia "capire" e "apprezzare" non sia abbastanza brillante o in possesso di un bagaglio culturale e di analisi adeguato, ma, anche se così fosse, il grande problema di "L’autre" è che dopo due minuti ha già detto tutto ciò che doveva dire. Il tema dello sdoppiamento della personalità, il fatto che la protagonista viva un trip mentale (di quelli davvero potenti!) è chiaro fin dall’inizio e ha ben poco da dire nel suo proseguo. Le tante immagini che si susseguono, alcune senza dubbio anche affascinanti, non fanno che sottolineare un concetto già detto e, con questa forma, più adatto alla durata di un cortometraggio che a quello di un film che arriva a fatica ai canonici circa novanta minuti. L’unico momento pseudo narrativo della vicenda è un discorso sui "parassiti" che, nonostante sia la chiave del film potrebbe dare un sostanziale aiuto alla comprensione di uno spettatore che probabilmente starà brancolando, o addirittura dormendo, nel buio, viene reso il più possibile difficile da cogliere, quasi nascosto.
Non aiuta il crearsi una qualsiasi empatia con il film, il pesante trucco con cui la brava attrice Dominique Blanc viene caratterizzata, è davvero irritante nel suo essere a tutti i costi sgradevole, ennesimo elemento di un film che sembra voglia male ai suoi spettatori, vittima di una presunzione di linguaggio che festival seri come quello di Venezia potrebbero evitare dopo tanti anni di esperienze e scottature. Va bene l’essere sperimentali, va bene la ricerca, ed è senza dubbio vero che il confine tra il coraggio e l’intellettualismo fine a sé stesso, spesso è una linea discrezionale, ma ciò non toglie che alcuni lavori, come "L’autre" sappiano già da lontano di snobismo.

La frase: "L’alcohol è un problema di salute".

Andrea D’Addio

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