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Lars e una ragazza tutta sua
Se girando su Internet vi trovaste a leggere di una società con sede vicino San Diego che produce bambole in silicone a grandezza naturale “anatomicamente corrette” oltre a cancellare rapidamente la cronologia in modo che nessuno scopra con quali chiave di ricerca siate arrivati a questa notizia, l’altro consiglio che potremmo darvi è di fare più spesso ricerche così bizzarre. Se infatti foste arrivati prima a questa scoperta e nel vostro cassetto ci fosse un sogno di diventare uno sceneggiatore mai realizzato a causa di mancanza di spunti originali, sareste potuti essere gli autori, o perlomeno i fornitori del soggetto, di “Lars e la sua ragazza”.
Ok, non è detto che a Hollywood e dintorni si sarebbero messi a leggere proposte di film spedite dall’Italia da perfetti sconosciuti (almeno nell’ambito cinematografico), ma tentare non avrebbe nuociuto.
Così dopotutto ha fatto Nancy Olivier, già firma della serie televisiva “Six feet under”, qui alla sua prima prova sul lungometraggio. A dirigere è un altro esordiente, Craig Gillespie, mentre protagonista è l’astro nascente (fu co-presentatore con Justin Timberlake del Micky Mouse Club quando aveva 13 anni) Ryan Goesling appena candidato al Golden Globe per un film mai uscito da noi (Half Nelson).
Ma bando alle ciance e andiamo al sodo. Il film è bello? Si, senza dubbio. E questo perché nonostante sia confezionato in tutto e per tutto come uno di quei film americani indipendenti (alla Sundance per intenderci) dove i silenzi, lo stralunamento dei protagonisti e la monotonia della provincia sembrano dire tutto sulla contemporaneità, ma spesso, nel suo essere indefiniti, finiscono con il dire poco e in fondo annoiare, qui c’è sostanza senza ruffianeria. La pazzia di Lars, la sua illusione di essersi fidanzato con una donna vera, è esplorata senza patetismo o voglia di farne uno spunto comico (lo humour nero che pervade la pellicola è d’atmosfera e mai incentrato sul prendere in giro), ma con un approccio intimista che ne rappresenta le ragioni e le evoluzioni senza ricorrere a banali espedienti narrativi. Il cambiamento del protagonista, il suo vivere un rapporto di plastica, avviene seguendo le tappe del tempo e non degli eventi e la sua rappresentazione, il suo cercare di farsi capire anche dallo spettatore, è rinchiuso in piccole scelte di regia, negli sguardi fugaci fatti alla collega di lavoro da dietro un pannello di cartongesso, da un dito posato su di un braccio capace di un brivido, da una stretta di mano in serata e da camice via via più colorate e dai quadrati più larghi. Non c’è la voglia di fare di Lars l’emblema della società e seppur si possa fare un parallelismo tra la sua difficoltà di vivere a contatto con gli altri e questo mondo sempre più ricco di telecomunicazioni, ma avaro di abbracci e baci che non siano virtuali, questo non sarebbe altro che piegare una storia ad un’analisi che partirebbe da ben altre basi. Quella qui raccontata è la storia di un uomo e della sua comunità, la vicenda di una persona che può essere di oggi come di ieri, un ventisettenne che ha avuto paura per molti anni della vita come tanti l’hanno avuta per tutta la propria esistenza.
La frase: "Mi piacerebbe avere una donna che non parla".
Andrea D’Addio
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