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L'apprendista stregone
Merlino e i suoi discendenti, la Fata Morgana e un giovane apprendista mago, che si trova come mentore Nicolas Cage, con tanto di cappottone e cappellaccio, sguardo beffardo e lunghi capelli svolazzanti...
È la storia di Dave, ragazzo dei giorni nostri che non sa di possedere delle doti speciali e si trova coinvolto nelle vicende di Balthazar Blake, maestro di magia che opera a Manhattan. Blake è impegnato a far fronte alle mire del cattivissimo Maxim Horvath e del suo assistente, l’illusionista Drake Stone. Horvath sta per mettere in atto un piano che avrà come conseguenza la fine del mondo: liberare la Fata Morgana. Blake sa di dover appoggiarsi a nuove forze e Dave ha in sé qualcosa di non comune. Inizierà per il giovane un durissimo periodo di addestramento alla magia e di preparazione per affrontare le forze del male.
Un budget strepitoso per L’apprendista stregone: 150 milioni di dollari e un produttore che ha il nome di Jerry Bruckheimer. Si ricompone il potente trio dei Misteri dei Templari, Bruckheimer, Nicolas Cage e il regista Jon Turteltaub, per un’operazione magia che resta solo nelle intenzioni.
L’ispirazione di partenza è da brividi, dalla ballata di Goethe del 1797, musicata poi da Paul Dukas nel 1890 e portata sullo schermo da Disney nel 1940 in Fantasia, nella sequenza con Topolino, L’apprendista stregone appunto. Ma Turteltaub, con la sceneggiatura pastrocchio a più mani, può fare ben poco, se non sparare sugli effetti speciali e su una regia affannata, così come invano annaspano i sornioni Cage e Alfred Molina, affiancati da uno spaesato Jay Baruchel.
Troppa carne al fuoco, con un incipit che ci dice già tutto, parte dalla morte di Merlino a opera di Morgana, racconta di tre discepoli e vola nei secoli fino al XXI, scomodando tutta una mitologia e piegandola ai propri scopi, furbo nelle finalità. L’apprendista stregone mischia il genere cinematografico dei supereroi con chiari riferimenti al mondo di Harry Potter, frulla dramma, romanticismo e comicità, non sceglie una sua strada e finisce per perdersi in situazioni che ricalcano orme già ben definite. La furbizia dell’acchiappare più spettatori risulta un boomerang: i più giovani si annoiano tanto quanto gli spettatori adulti. Flop negli States e sogno sfumato di un franchise e, forse, anche di un sequel (il finale è aperto).
Effetti speciali a raffica sì, ma non così memorabili (dato il budget a disposizione), poche scene riuscite, L’apprendista stregone non si può definire neppure un film di intrattenimento: infatti ha in sé il difetto più grande di tutti. Annoia.
La frase: "Ogni stregone ha bisogno di un bel paio di scarpe a punta!".
Donata Ferrario
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