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La ragazza senza nomeLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Roberto Leofrigio2016-05-18
I due fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne tornano al Festival di Cannes, nel concorso per la selezione ufficiale con un film dedicato ai loro temi. La tematica che affronta sempre il cinema dei due fratelli belgi viene spesso definita sociale, in realtà quello che ci viene mostrato dai Dardenne è far vedere/vivere agli spettatori la vita di tutti i giorni con i suoi ritmi semplici, portare alla luce di volta in volta quei temi legati alla situazione attuale, come il problema gravissimo della disoccupazione affrontata in Due giorni, una notte con Marion Cotillard.
In questo film si tratta del tema della responsabilità, dove la dottoressa Jenny Davina, interpretata da una splendida Adele Haenel, affrontala ricerca nel cercare di dare un nome ad una giovane ragazza di origine africana, che vive in Belgio, alla quale la dottoressa non ha risposto al citofono (visto che era fuori orario di lavoro) del suo studio a lei che chiedeva aiuto, ragazza che viene ritrovata morta il giorno seguente. Per mezzo di una foto recuperata dalla sua telecamera di sorveglianza la giovane dottoressa sente crescere su di se’ il peso della responsabilità e così affronta una lunga indagine anteponendosi alla stessa autorità giudiziaria incaricata di scoprire il nome della giovane. Tutta la pellicola è quindi una lunga ricerca intima attraverso il quale i due registi belgi ci mostrano Jenny, alle prese con la necessità di dare un nome alla ragazza morta e di farlo poi sapere ai suoi parenti. La dottoressa Davin viene seguita per tutto il suo percorso di lavoro e ricerca dell’identità della ragazza africana: si passa dalle banali visite a domicilio, ai momenti drammatici in cui cerca di far luce sul mistero della ragazza. Non è un giallo, vi è l’intima tensione della ricerca, ben sottolineata dalle inquadrature strette con l’uso della macchina a spalla, dove il vero obiettivo è solo quello di restituire la dignità di un nome. Jenny Davin affronterà l’omertà delle persone coinvolte nella vicenda, avvicinandosi in modo pericoloso alla verità, una verità scomoda, che lei un semplice medico deve trovare. Tutto il peso della responsabilità del prendersi cura del prossimo viene portato allo spettatore con un ritmo lento e riflessivo, una lentezza che forse non potrà forse coinvolgere quello spettatore abituato ai ritmi estremi di tante pellicole americane che trattano di thriller. Il grandissimo merito dei fratelli Dardenne è quello di restituire al cinema la sua vera dimensione, di dare il tempo allo spettatore di comprendere, di seguire la dottoressa anche nei semplici gesti, una riflessione sulla cultura del nostro tempo ormai accelerata tremendamente dai social media fino all’esasperazione. La Fille Inconnue si colloca molto bene nel panorama del cinema europeo, dove sono le storie a farla da padrone e non l’azione, il prendersi cura degli altri per i fratelli Dardenne rappresenta il voler prendersi cura dei loro spettatori, di accompagnarli per mano nella storia della dottoressa Jenny, di fare emergere nella coscienza di ciascuno il proprio senso di responsabilità, per un fatto al di fuori della classica routine quotidiana. Pure errata potrebbe essere la prima impressione in cui si pensa che il film vuole trattare di immigrazione o dei problemi sociali nel Belgio multiculturale. Per i Dardenne La Fille Inconnue benché’ immigrata è perfettamente inserita nella società, al contrario è proprio da sottolineare - come sempre nel cinema dei fratelli belgi - siano le donne le persone concretamente più responsabili in grado di affrontare le situazioni drammatiche/critiche e prendersi cura degli altri. In conclusione un film assolutamente nelle corde dei Dardenne, forse più debole di altri, ma che ben rappresenta la nostra cultura europea che si cerca disperatamente di preservare dall’invasione non dei musulmani, ma del “cinema solo blockbuster” made in USA. La frase dal film:
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