Jumper
Ogni epoca ha i propri super-uomini. A differenza dei classici salvatori del Pianeta, i giovani Saltatori sono di indole incontrollata (“non c’è niente di vietato”), solitaria (“gioco meglio da solo”) e utilizzano i loro eccezionali poteri per fare la bella vita. Se si uniscono, è solo per proteggersi dalla comune minaccia - generazionale e intrisa di fondamentalismo cattolico - rappresentata dai Paladini: adulti guerrieri in borghese che operano in una setta, erede dell’Inquisizione, convinta di avere il compito di proteggere la Terra. E comunque non si simpatizza né per gli uni né per gli altri.

Nella costruzione della nuova mitologia cinematografica da quasi 100 milioni di dollari (in realtà non così evidenti, a parte le riprese miste in location autentiche e teatri di posa), gli spunti provengono da due romanzi di Steven Gould (l’omonimo “Jumper” e “Reflex”).
Visivamente il debito è invece nei confronti di “Matrix”: alla supervisione degli effetti visivi c’è infatti Joel Hynek che, approfondendo il lavoro svolto nel film dei fratelli Wachowski, ha utilizzato diverse macchine da presa fisse con otturatore variabile per riprendere l’azione in sequenza e realizzare effetti sfocati e prolungati, un motion-control complesso e accuratamente coreografato, il vecchio sistema “stop and action” e 5-6 controfigure della coppia di Saltatori. Con l’idea di fondo di rendere la prospettiva del teletrasporto soggettiva e ottenere così un maggiore coinvolgimento del pubblico.

A detta dei realizzatori le idee e il materiale raccolti durante la lavorazione hanno fatto emergere l’ipotesi di una trilogia. Forse è per questo che il regista Doug Liman (assurto alla notorietà con “The Bourne Identity”, primo capitolo della saga) in una già striminzita storia di poco interesse lascia dei punti cruciali confusi e irrisolti, a mo’ di buchi. Come quelli spazio-temporali attraversati dai protagonisti.

La frase: "Una volta ero una persona normale. Un imbranato, proprio come voi".

Federico Raponi

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