John Wick
Sotto la produzione della Eva Longoria nota per essere stata Gabrielle nella popolare serie televisiva “Desperate housewives - I segreti di Wisteria Lane”, troviamo addirittura il David Patrick Kelly che esordì nei panni del malvagio Luther nel mitico “I guerrieri della notte” (1979) di Walter Hill all’interno del primo lungometraggio diretto dai coordinatori di stunt Chad Stahelski e David Leitch (il secondo non accreditato).
Lungometraggio che, in una New York iconografica e iperrealistica, vede Keanu Reeves impegnato a concedere anima e corpo all’ex killer del titolo, la cui ferocia viene risvegliata quando, rifiutatosi di vendere la propria Boss Mustang del 1969 al sadico malvivente Iosef Tarasof alias Alfie Allen, si ritrova in casa i suoi tirapiedi che la rubano, gli fanno perdere i sensi e uccidono il cucciolo di beagle ricevuto in regalo dalla moglie recentemente deceduta.
Sadico malvivente che è, in realtà, il figlio di Viggo Tasarov, ovvero il Michael Nyqvist di “Uomini che odiano le donne” (2009), un tempo suo principale datore di lavoro e che, a capo della comunità criminale della città, scoperte le vendicative intenzioni da parte di Wick offre una generosa compensa a chiunque riesca a fermarlo.
Compreso Marcus, amico di vecchia data dell’uomo, che, interpretato dal grandissimo Willem Dafoe, rappresenta soltanto uno dei pericoli armati cui si trova a dover far fronte, tra pugnali conficcati nella carne, pistole sempre pronte a sparare e violenti scontri corpo a corpo che non mancano neppure di strangolamenti.
Senza contare esplosioni, automobili distrutte e, addirittura, uno spargimento di cadaveri all’interno di una chiesa; man mano che prendono forma circa cento minuti di visione impreziositi da una cupa atmosfera quasi darkeggiante e che, se da un lato richiamano alla memoria l’evoluzione di determinate avventure dell’agente segreto James Bond, dall’altro lasciano tranquillamente intuire l’influenza da parte della saga videoludica “Max Payne” per quanto riguarda ambientazioni e personaggi.
Del resto, provvede anche la sequenza in cui, contemporaneamente, assistiamo ad un attacco da parte del protagonista e ad una partita giocata ad un videogame sparatutto a suggerire la vicinanza tra il film e l’universo di console e joypad.
Anche se, nonostante l’azione la faccia da padrone, l’insieme non si abbandona esclusivamente e banalmente ad essa, ma la sfrutta nella giusta maniera per garantire la notevole dose d’intrattenimento al buon intreccio fornito dalla sceneggiatura di Derek Kolstad, cui, al di là del pizzico d’ironia nei dialoghi, giovano ulteriormente i tutt’altro che prevedibili risvolti.
La frase:
"John non era esattamente l’Uomo nero, era quello che mandavi a uccidere il fottuto Uomo nero".
a cura di Francesco Lomuscio
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