Io, Don Giovanni
Il Don Giovanni di Mozart è un capolavoro di perfezione sotto ogni punto di vista: tecnico, artistico e formale. Se a questo aggiungiamo che riprendere, alla fine del ‘700, un tema così trito e senza più nulla da aggiungere come quello del libertino più famoso del mondo era una sfida apparentemente priva di speranze, il risultato non può che apparire ancora più grande. Per tale ragione, quando un essere umano qualunque intende maneggiare il Don Giovanni di Mozart dovrebbe farsi un esame di coscienza e chiedersi "ne sono davvero all’altezza? Le mie dita caduche e mortali possono cucinare il "cibo celeste" e rendergli davvero giustizia?". Posso dire con certezza che Carlos Saura non si è posto minimamente questo problema, anzi ha dichiarato pubblicamente di non aver mai sentito parlare di Lorenzo Da Ponte prima che gli sottoponessero una sceneggiatura sulla vita del grande librettista di Mozart. Come se fosse una cosa bella, qualcosa di cui vantarsi. Evidentemente non si possiede più la cognizione di cosa sia divino ed umano, di cosa sia alto e cosa sia basso. Anzi, mi correggo. Se solo Saura avesse confuso l’alto e il basso forse avrebbe confezionato un prodotto più tollerabile di questo atroce sceneggiato televisivo che probabilmente non sfigurerebbe nella fascia pomeridiana di Hallmark. Il film ha l’ambizione di mostrare in forma lievemente fantastica la genesi del Don Giovanni attraverso una sezione della vita di Lorenzo Da Ponte. Una prima parte è ambientata a Venezia e il "pezzo forte" è invece collocato a Vienna. Per "scelta antirealista" però non abbiamo le strade di Venezia e Vienna, ma delle ricostruzioni fatte in studio di posa con delle quinte teatrali (che di tanto in tanto si vedono svolazzare al vento). Il fatto che la scelta sia intenzionale non rende però il risultato più gradevole.
Quello che si vuole mostrare è come la vita transiti nell’arte e come quest’ultima possa aiutare a risolvere conflitti interni agli artisti. Così Da Ponte attraverso il Don Giovanni si risolve a cambiare vita e Mozart sembra risolvere i conflitti con il padre. Il tutto riportato sullo schermo con la stessa burocraticità di questo riassuntino. A livello di regia le cose non vanno meglio, con la sola aria di Donna Elvira "Mi tradì quell’alma ingrata" che raggiunge appena la sufficienza. Le parti teatrali, in cui viene rappresentata l’opera per la corte viennese, sono uno spettacolo desolante.
Verrebbe da dire che sono al livello di una recita scolastica, se non fosse che chi scrive ha visto recite scolastiche portate a termine con ben altra professionalità. Tutto questo è davvero un peccato perché gli attori italiani portati in campo danno un’ottima prova di se, mi piace segnalare in particolare Lorenzo Balducci nella parte di Da Ponte, Lino Guanciale che riesce a creare un Mozart personale e diverso rispetto all’Amadeus di Forman e Francesca Inaudi (nella parte di Costanza), che mi piacerebbe davvero vedere in ruoli più importanti: è un’attrice francamente sottoutilizzata rispetto alle sue capacità. Per il resto prevale un senso di vuoto. Ci sono, è vero, dei momenti di magia ma sono più ascrivibili al duo Mozart-Da Ponte che al duo Saura-Storaro. Anzi il sospetto è che questi due altro non siano che una nuova manifestazione di quei demoni che torturano Don Giovanni per l’eternità. Ogni scena sembra dire al povero dissoluto punito: "tutto ai tuoi mali è poco, vieni c’è un mal peggior". Un film crudele e inutile.

La frase: "Wolfgang Amadeus Mozart".

Mauro Corso

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