Inception
Entrare nei sogni delle persone e rubare informazioni. E’ questo il lavoro di Cobb e del suo amico Arthur. Una professione che purtroppo ha costretto il primo a vivere lontano dalla sua famiglia. C’è solo un modo per lui di potere tornare dai suoi bambini: operare un’inserzione nel subconscio del figlio di un noto industriale. Non un furto, ma l’immissione di un’emozione ex nova che abbia la forza di modificare, almeno in parte, il carattere della vittima. Se Cobb ce la farà, i suoi trascorsi verranno archiviati e potrà tornare dai suoi cari.
Scritto e diretto da Christopher Nolan, "Inception" è un grande gioco di scatole cinesi. Sogno nel sogno nel sogno. L’abilità del papà di "Memento" e dell’ultima saga su "Batman" è prima di tutto nella sceneggiatura. I viaggi di personaggi nel mondo onirico di qualcuno sono sempre a rischio: incongruenze, mancanza di credibilità e paradossi sono sempre dietro l’angolo. Difficile è soprattutto fare passare l’idea che ciò che accade in una sorta di realtà virtuale abbia poi effetto anche sul mondo vero. Basta svegliarsi per uscire dalla fantasia, o no? L’idea di un limbo nel quale cadere e da cui non risvegliarsi, seppur abusata già da tanti libri e pellicole, deve essere spiegata e trattata con cura. Nolan ci riesce e qui sta il primo passo del suo successo. La tensione rimane alta dall’inizio alla fine e lo spettatore partecipa a tutta la vicenda come se lui stesso fosse impegnato nella missione e avesse paura di rimanere intrappolato. Le ragioni di questa profonda empatia tra visionatore e visionato? Prima di tutto, l’assenza di un vero cattivo su cui operare una catarsi, una vendetta liberatoria. Tutti i membri della squadra sono dei "buoni", non meritano di morire e cercano di portare a termine il risultato non tanto per una ragione economica, ma per aiutare il loro capo a riprendere in mano la propria vita.
L’antagonista, come detto, non è una persona, non c’è nessuno da sconfiggere, se non il subconscio dello stesso Cobb. Si lotta solo contro il tempo.
Su questa struttura portante solida ed emozionante, Nolan costruisce poi un mondo visivo tanto apparentemente reale quanto flessibile ad ogni assurdo cambiamento delle regole della fisica. Proprio come in un incubo, si è vittime di ciò che il nostro inconscio ci impone, ma allo stesso tempo si è capaci di modificare il tutto a proprio piacimento quando acquistiamo autocoscienza del momento. Vi è mai capitato durante un sogno di avere la sicurezza di stare sognando e di decidere che strada prendere? Con un montaggio capace di seguire tutti i personaggi e i vari piani narrativi con la fluidità degna dei più grandi narratori del cinema (splendido il combattimento in assenza di gravità di Arthur), Nolan avvolge, soffoca, lascia un po’ di corda e alla fine tira tutto su come un cappio, giocando più che mai con l’infinità delle opzioni a sua disposizione. E’ grande cinema, forse non eccezionale se dovessimo guardare fotogramma per fotogramma o scena per scena e valutarne l’originalità e l’ispirazione (a Nolan sembra soprattutto mancare, e ne è prova il secondo Batman, la capacità di essere "epico", di dare un respiro di assolutezza alla sua visione del mondo, anche quando ricrea un mondo fatiscente che si piega su sé stesso), ma il risultato sono due ore e trenta che vanno via in un batter d’occhio sempre immobilizzati alla poltroncina.
Di Caprio e tutto il cast, dalla sempre splendida Marion Cotillard, a Gordon-Levitt, passando per Tom Hardy, Ellen Page, Kate Watanabe, Tom Berenger, Pete Postlethwaite, Cillian Murphy e Michael Caine (questi ultimi due presenti già in Batman), danno il proprio, grande contributo, a questa splendida storia di fantascienza. Tra loro, ben due premi oscar e cinque nominati. Non sarebbe stata la stessa cosa senza tutto questo talento (basti pensare all’inquietante bellezza della Cotillard, eccezionale rivisitazione del concetto di femme fatale a cui si aggiunge il gioco di rimando cinefilo fatto con l’utilizzo della canzone "Non, je ne regrette rien" (l’attrice ha vinto l’oscar interpretando proprio Edith Piaf).

Spoiler (non leggete se non avete già visto il film): Se c'è un appunto da fare, è nella lunghezza del periodo del precipitare del furgoncino. Troppo dilungato, nonostante la consapevolezza che i sogni dilatino il tempo reale. Dura troppo, si poteva fare tranquillamente a meno di qualche sparatoria sulla montagna e delle operazioni di salvataggio nell'hotel. Avremmo avuto una maggiore concentrazione della suspense.Il film finisce male, il totem non cade, si rimane nel limbo di Cobb (i bambini sono infatti ancor piccoli, non sono cresciuti). Lui ha preferito così, lo afferma la stessa Ariadne quando parla con Eames a bordo fiume: "Starà bene lo stesso".
Altre precisazioni: la personache sta sognando è sempre quella che rimane sveglia nel proprio sogno. Quindi: Yusuf, il guidatore, nel primo step, quello del rapimento. Arthur nell'hotel. Eames sulle montagne innevate, Di Caprio nella città fatiscente e Saito nel prologo. L'unica che in realtà non sogna mai è proprio l'architetto impersonato da Ellen Page.

La frase: "Mai ricreare posti dalla propria memoria, sempre immaginare posti nuovi".

Andrea D'Addio

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