Il pianista
Wladyslaw Szpilman era un pianista di talento, ebreo polacco vissuto a Varsavia durante il periodo dell'occupazione tedesca. Questo film racconta la sua storia vera, narrata dallo stesso Szpilman in un libro scritto subito dopo la fine della guerra.
"Nelle sue memorie ci sono polacchi buoni e polacchi cattivi, ebrei buoni ed ebrei cattivi, tedeschi buoni e tedeschi cattivi...". Questo è uno dei motivi per cui Roman Polanski ha deciso di realizzare questo film, bellissimo ma durissimo, anzi, bellissimo perché durissimo. Dimenticate la commedia tragicomica de "La vita è bella", o il sogno ingannatorio di "Train de vie", ed anche la romanzata indulgenza di "Shindler's list". Ne "Il pianista", nel quale il regista polacco ha fatto tesoro anche dei propri ricordi personali, si racconta una storia dove non sono concessi omissis, dove le forbici non sono entrate nella cabina del montatore.
Quella di Wladyslaw Szpilman è una vera e propria odissea. Dapprima rinchiuso nel ghetto costruito dai tedeschi per gli ebrei di Varsavia (un lungo muro di mattoni nei quali gli ebrei vivono come reclusi) assieme alla sua famiglia, Szpilman riesce a fuggire poco prima della deportazione nei campi di concentramento dove invece finirà tutta la sua numerosa famiglia (padre, madre, un fratello e due sorelle). Da questo momento in poi inizierà a vagare, nascondendosi in vuoti appartamenti dove coraggiosi polacchi davano asilo agli ebrei scampati alla deportazione. Dalle finestre di questi freddi rifugi assiste, solo ed impotente, al massacro dei suoi amici, alle battaglie tra tedeschi e partigiani polacchi, fino all'arrivo delle guarnigioni russe che liberano la sua città.
Il film, pur nella sua crudezza, ci regala momenti di rara poesia, sequenze nelle quali il genio romantico di Polanski dispiega le sue ali ammantanti. La scena iniziale nella quale Szpilman deve interrompere un concerto alla radio polacca mentre questa viene bombardata dagli aerei tedeschi; la sequenza in cui si esibisce al piano davanti ad un ufficiale tedesco che sedotto dalla sua bravura lo aiuterà a nascondersi; le apocalittiche riprese del ghetto di Varsavia ormai completamente distrutto dopo la fuga dell'esercito germanico: tutte prove di grande cinema alle quali è difficile resistere.
Polanski, come peraltro già fece Spielberg con "La lista di Schindler", è bravissimo nel rappresentare il dato psicologico della gente ebrea di fronte al terribile fenomeno dell'olocausto. Essi sono dapprima increduli, fatalmente convinti che tutto ciò non potrà arrivare alle estreme tragiche conseguenze. Poi, con il peggiorare degli eventi, subentra un senso di disorientamento ed una assoluta incapacità di comprendere quale debba essere l'atteggiamento giusto per cercare di salvare la propria vita e quella dei propri cari. In realtà, ci si rende conto, che non esiste una soluzione, una via di uscita, perché di fronte alla cieca brutalità delle teorie naziste non esiste un granello di ragione che possa far inceppare l'inumano meccanismo.
Queste caratteristiche le ritroviamo anche nel personaggio di Szpilman. Interpretato dall'attore americano Adrien Brody ("La sottile linea rossa", "Bread and roses"), Szpilman sembra accettare tutte le disgrazie che gli piovono con rassegnazione. Giobbe moderno, assiste inane alla tragedia che gli si dispiega attorno. Quella che potrebbe sembrare una colpevole inattività è, in realtà, un'assoluta certezza di nulla potere di fronte all'urlo nero della violenza nazista.
Wladyslaw Szpilman è morto il 6 luglio del 2000 all'età di 88 anni, dopo una prestigiosa carriera di concertista e compositore musicale.

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