Il papà di Giovanna
Potevamo aspettarcelo, e così è stato.
Quando Pupi Avati scrive una sceneggiatura, e puntualmente la rappresenta in immagini, lo fa sempre con quella meticolosità e sensibilità, che ormai ce l’hanno fatto conoscere e amare.
Anche "Il papà di Giovanna", pellicola presentata in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2008, appare fin da subito come un’opera sublime, per intensità narrativa e coinvolgimento emozionale.
Una storia drammatica, in un periodo storico altrettanto tormentato come quello della Seconda Guerra Mondiale, ed in particolare nella Bologna del 1938, che vede protagonisti un padre, professore di liceo, onesto, ma sopraffatto dagli eventi, e una figlia, timida e introversa, e della loro difficile sopravvivenza emotiva.
Accusata dell’omicidio della migliore amica e rinchiusa per questo in un manicomio, Giovanna, se da una parte trova il muro di silenzio e di indifferenza da parte della madre, dall’altra guarda al padre come l’unico, vero appiglio di speranza.
Pupi Avati, quasi in punta di piedi, costruisce un racconto silenzioso, ma che nello stesso tempo appare logorante, inquieto, mentre le note del fido Riz Ortolani, ci conducono in una sfera intimistica, che va a toccare le corde più profonde del rapporto padre – figlia.
La disabilità mentale vista non come divisione, ma anzi come commovente legame, è il cardine di questa storia d’amore, sentimento che il regista conosce bene, e che da tempo esplora con successo.
Silvio Orlando, che con Avati non aveva mai lavorato, sembra invece esserne uno degli attori feticcio più importanti. Un’interpretazione sincera la sua, umile, mimica, "vincente", che si fa amare.
Alba Rohrwacher, poi, ha quella fragilità dirompente, stupefacente, che impressiona. Una grazia recitativa, costruita senza virtuosismi di sorta, e che attraverso un introspezione e una padronanza del ruolo, la consacrano, dopo "Giorni e Nuvole" di Soldini (un David di Donatello come miglior attrice non protagonista), come uno dei volti più intensi e interessanti del cinema italiano degli ultimi tempi.
Ma è un lavoro corale, di un cast semplicemente perfetto.
Da una Francesca Neri, forse in uno dei suoi ruoli più "brutali", di madre (in)sensibile, fino ad Ezio Greggio, nel suo primo ruolo drammatico, e che in maniera molto semplice riesce a ritagliarsi lo spazio giusto, senza la presunzione di chi protagonista già lo è in televisione.
Ma è quel tocco, neanche troppo nascosto di Pupi Avati, a far sì che tutto sia così profondamente armonico.
La sua cura e ricerca nei dettagli (non solo nella ricostruzione degli interni), e l’attenzione con la quale protegge e aiuta i suoi attori sono quegli ingredienti in più, che confermano quell’abilità descrittiva, alla quale oggi è impossibile non rivolgere ammirazione.

La frase: "Non puoi costringere una donna ad amarti".

Andrea Giordano

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