Viaggio alla Mecca - Le grand voyage
"Sono circa dieci anni che ho questo progetto in testa: quando ero piccolo mio padre ha fatto questo viaggio in macchina, e questo giro un pò folle mi ha fatto fantasticare. Ho detto a me stesso che un giorno avrei raccontato questa avventura bizzarra". Parole di Ismaël Ferroukhi, autore attivo, tra cinema e televisione, da oltre un decennio, ma sconosciuto ai più dalle nostre parti. Ora, con il meno affascinante titolo "Viaggio alla Mecca", approda in Italia, dopo due anni di attesa, il suo "Le grand voyage", incentrato sulla figura di un anziano marocchino emigrato in Francia, il quale, sentendosi forse prossimo alla morte, decide di realizzare, accompagnato dal figlio Réda, il sogno di un'intera esistenza: recarsi in pellegrinaggio alla Mecca, come ogni buon musulmano dovrebbe fare almeno una volta nella vita. Un viaggio che, da Marsiglia ad Istanbul, attraverso un'Europa sempre più vicina all'Islam, poi da Damasco alla Mecca, si rivela essere non privo d'imprevisti, soprattutto a causa degli inaspettati incontri con una donna anziana dalla presenza quasi spettrale e con l'ambiguo Mustapha, e che viene una gran voglia di associare a quel grande capolavoro della celluloide tricolore intitolato "Il sorpasso". Perché, fondamentalmente, la vicenda di Rèda ed il padre, interpretati in maniera eccellente da Nicolas Cazalé e Mohamed Majd, ancor prima che un racconto on the road sembra voler enfatizzare un confronto generazionale su quattro ruote, proprio come succedeva tra Jean - Louis Trintignant e Vittorio Gassman nel classico diretto nel 1962 da Dino Risi. Infatti, se Réda, pur non riuscendo a fare a meno di pensare al sesso ed a qualche bevuta di alcool, impara a conoscere e condividere la prospettiva paterna, anche il genitore, decisamente più legato alle tradizioni, finisce per apprendere qualcosa dal figlio; a tal proposito, simbolica è la sequenza in cui il ragazzo scrive il nome della propria fidanzata nella stessa sabbia su cui, poco distante, l'uomo sta pregando.
E Ferroukhi, senza dimenticare un pizzico d'indispensabile ironia e pur peccando occasionalmente in discontinuità ritmica, ricorre ad una narrazione lenta, riuscendo comunque a coinvolgere pienamente lo spettatore nella visione di questo percorso su pellicola, parallelamente fisico ed interiore, supportato anche dalla bella colonna sonora ad opera di Fowzi Guerdjou, i cui temi, anche se non particolarmente originali, conferiscono un grande tocco di poesia al tutto.
La frase: "Guardi, lì c'è mio padre, posso lasciarlo solo? Ha bisogno di me"
Francesco Lomuscio
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